PREMESSA: i contenuti che troverete partono dalle suggestioni espresse nell’articolo Arrivederci, ragazzi: quando gli adolescenti vogliono abbandonare Internet, pubblicato il 23/06/2025. sviluppati in Arrivederci, ragazzi: Tik Tok non abita più qui pubblicato il 07/07/2025
Charles Lutwidge Dodgson insegnava matematica a Christ Church, Oxford. Era interessato alla logica e dette un contributo centrale alla teoria degli insiemi, tanto che il suo lavoro viene ricordato anche come “insiemistica di Dodgson”.
…Forse chi legge non aveva mai sentito questo nome e non conosce questa storia, ma ha sicuramente ben presente il docente inglese di cui ho appena parlato attraverso il suo pseudonimo: Lewis Carroll. Il “doppio”, l’anima riflessa del buon Dodgson, è quella del creatore di Alice. Di fatto, molto più famosa della sua matrice…Curioso come anche il suo amatissimo personaggio sia celebre per le avventure “riflesse”, per i doppi, per ciò che avviene oltre, anzi, attraverso…in spazi inediti e universi fantastici. Ma, si badi bene, spazi inediti e universi fantastici che dicono tantissimo dello spazio reale. La spinta a decidere dello Stregatto -prendi una strada, Alice, non importa se non sai dove andrà!-, quel continuo, repentino, imprevedibile trasformarsi del corpo, che è troppo grande o troppo piccolo parlano, fondamentalmente, di una cosa: la crescita. Perché crescere vuol dire rischiare; crescere vuol dire non sentirsi mai perfettamente a proprio agio; crescere vuol dire sentirsi a tratti troppo grandi, a tratti troppo piccoli. Com’è noto, infatti, i due racconti cardine della letteratura fantastica ottocentesca, raccontano, attraverso il passaggio tra Paesi delle Meraviglie e Specchi, di un altro passaggio: quello dall’infanzia all’età adulta.
É interessante notare come la matrice, Dodgson, emerga anche nell’avventura letteraria del “doppio”, Carroll. Uno degli aspetti che torna più spesso nella coppia di romanzi riguarda infatti proprio la logica…nello specifico, quando si tratta di linguaggio. Nei calembour, nei giochi verbali ed il-logici di personaggi come il Cappellaio Matto, la Lepre Marzolina e Humpty Dumpty. È lì, soprattutto, nel surrealismo, nella creatività sfrenata delle parole, che conscio ed inconscio si incontrano…come quando incontriamo il nostro doppio sulla soglia di uno specchio. Il linguaggio, nelle avventure di Alice, è una ricerca, un percorso infinito, un confronto con il mondo…il mondo fuori, il raziocinio e la logica; il mondo interiore , l’irrazionale, il celato.
La grandezza del lavoro di Carroll sta anche lì, nel modo in cui un’opera basata sul linguaggio usa il linguaggio stesso come chiave interpretativa e creativa, come metafora di tutte le metafore. Perché siamo fatti di linguaggio e il linguaggio è uno degli strumenti che definisce chi sono, chi ero e chi sto diventando. È lo strumento con cui ci relazioniamo con l’altro e con l’altro costruiamo qualcosa di nuovo, che siamo anche noi stessi. Il linguaggio è una sfida, che, come Alice, ci spinge costantemente ad affinare il pensiero e a costruire un nostro, pensiero.
Oggi, oltre un secolo e mezzo dopo gli scritti di Carroll/Dodgson, il linguaggio è, spesso, delegato non alle relazioni, bensì ai tools. É in mano, in particolare, ad alcuni strumenti di Intelligenza Artificiale. Ai Claude, ai Grok ai ChatGpt. Questi software tendono ad assolvere un numero sempre maggiore di necessità prettamente linguistiche, da quelle “di servizio” (consigliami, fammi una ricerca, fai questo, fai quello) a quelle più personali e complesse (dammi un consiglio, fammi da psicologo).
Ma che fine fa la crescita, dov’è la creatività, dove sono io, quando il confronto linguistico avviene con un software?
Brain only
Un recente studio sperimentale svolto al MIT, intitolato «Il tuo cervello e ChatGpt: accumulazione di debito cognitivo nell’usare un assistente di intelligenza artificiale per compiti di scrittura» su un campione di 54 volontari ha fatto emergere dati preoccupanti, sull’uso massiccio dell’AI come strumento di ricerca.
Andiamo nel dettaglio. La responsabile del progetto, Natalia Kosmyna, ha suddiviso il campione in tre gruppi: un gruppo brain only, che poteva fare affidamento solo sulle proprie risorse mentali; uno che avrebbe avuto accesso a Google; un ultimo che disponeva di strumenti di AI generativa, in particolare Chat Gpt. In un periodo di tre mesi, i gruppi avrebbero dovuto scrivere tre brevi testi su un totale di tre sessioni.
I risultati della misurazione sui candidati sono, per dirla con un eufemismo, interessanti. Connettività cerebrale: il gruppo con accesso al motore di ricerca registrava una connettività più bassa fra il 34% e il 48% rispetto a quello senza alcuno strumento digitale, un dato che saliva ad un calo del 55% per il gruppo con accesso ad AI generativa. Creatività: il gruppo brain only vedeva un maggiore coinvolgimento delle aree legate all’ideazione creativa; chi usava i motori di ricerca faceva lavorare maggiormente la corteccia occipitale e visuale, aree che portano all’assimilazione tramite vista dell’informazione; il gruppo più penalizzato era, tanto per cambiare, quello preposto all’utilizzo di ChatGpt, poiché attivava principalmente le funzioni automatiche e definite da un’architettura esterna. Insomma, non sfruttava la creatività.
Chat Gpt è come il suo creatore: gentile, accondiscendente, non dice mai di no
É di recente stato pubblicato da Il Sole 24 ore un podcast e libro inchiesta di Angelica Migliorisi e Luca Salvioli che ricostruisce la vicenda del fondatore e CEO di OpenAI Sam Altman- il titolo dei due prodotti è, argutamente, L’altro zio Sam-. Una lettura che scorre, tra atmosfere crime e momenti avventurosi, e che, come in ogni avventura che si rispetti, costruisce prima di tutto una caratterizzazione del suo protagonista. Altman è gentile, si dice, accondiscendente, non dice mai di “no” e cerca sempre di mettere a proprio agio chi ha di fronte. Altman fa dell’understatement la sua arma retorica.
Chiunque abbia usato il tool di OpenAI si sarà reso conto di come Chat Gpt abbia costantemente un “atteggiamento” (che poi l’AI non si “atteggi” in senso stretto è un’altra storia…) del tutto allineato a quello descritto. ChatGpt è remissiva e cortese, mai oppositiva, sempre accondiscendente. Non è un caso, è un bias. Le tecnologie basate sull’AI generativa riflettono radicalmente la prospettiva culturale di chi li ha ideati. Il che, in primo luogo, nel nostro caso propone appunto un problema culturale; pensiamoci: uno strumento creato per dare risposte, che non dice mai di “no”, ti darà una risposta qualsiasi, pur non deludere le tue aspettative, anche se quella risposta è inaccurata o addirittura falsa. Esattamente l’approccio del prodotto più famoso di OpenAI: è ben noto quanto ChatGpt sia inaccurato. A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca, diceva qualcuno: probabilmente, in un futuro recente, sarà impossibile stabilire con chiarezza la quantità di informazioni sbagliate che circolano a causa di ricerche non verificate fatte con ChatGpt (e non parlo solo di studenti…) uno tsunami di falsi che corrode dall’interno l’intero universo informativo.
Ma non è solo questo. ChatGpt, è stato spesso sottolineato, viene ormai utilizzato come interlocutore tout court, che sia goliardicamente (invitandolo alla cena di classe di fine anno) che più seriamente, come confidente in senso stretto, se non addirittura come terapeuta (il che, nota il Presidente dell’ordine degli psicologi è tutt’altro che “terapeutico”). Lasciando perdere gli estremi, un aspetto è fondamentale: se la dialettica è uno dei terreni fondamentali di confronto con l’esterno, se il linguaggio, anche e soprattutto in crescita, è una sfida in cui non si vince, ma si cresce, cosa succede quando il tuo interlocutore non si pone in termini dialettici e non offre delle sfide? Cosa succede se ti fa “vincere” sempre?
Senza voler trarre conclusioni affrettate e senza drammatizzare (soprattutto perché si tratta di pochi, squillanti, casi) è possibile che la serie di casi di ragazzi che si sono sottratti all’orale di orale di maturità di quest’anno sia sintomatica di una difficoltà più diffusa e malcelata (o celata da presa di posizione) a confrontarsi dialetticamente con il mondo esterno. Insomma, ad affrontare la stimolante difficoltà che concerne l’ignoto verbale. Ricordiamolo: gli studenti hanno rifiutato l’orale, il luogo dell’ignoto verbale…Per molte generazioni, forse il primo vero rito di passaggio verso l’età adulta.
E Grok?
Il punto non è, ovviamente, GhatGpt in quanto tale. Grok, l’AI di Elon Musk, non è diversa, nella sostanza, dalla sua rivale “cortese”. Il recente, chiacchieratissimo affaire di cui si è resa protagonista, in cui si è lasciata andare ad inneggiamenti a Hitler e a frasi antisemite, dimostra, paradossalmente, la logica comune che sottende tutti i software di questo tipo. Anche se si è trattato di un errore nelle istruzioni impartite durante l’aggiornamento -o meglio, dell’estrema e perversa conseguenza del rifiuto del “politicamente corretto” a tutti i costi con cui è stata concepita- è chiaro come anche in questo caso si parli di un riflesso della personalità del suo creatore. Non nel senso che Musk sia un nostalgico del nazismo. Semplicemente, essendo l’ex MAGA decisamente meno controllato e ben più istrionico di Altman, Grok ha potuto fare quello che GhatGpt non può: “esagerare”. Comunque, un bias. Resta la gigantesca bolla di conferma con cui le intelligenze artificiali generative sono programmate. Il loro essere sempre a disposizione, il loro non rappresentare mai, davvero, dei modelli dialettici.
Cosa farebbe, Alice, nel mondo di ChatGpt e Grok? Se la sua relazione non fosse con creature strane e misteriose, che la mettono in crisi e la sollecitano costantemente ad indagare l’ignoto, ma con un partner accondiscendente che “fa le cose per lei”, cosa le accadrebbe? Difficile dire come il romanzo verrebbe riscritto, oggi. Forse il personaggio cesserebbe semplicemente di esistere: Alice non si muoverebbe da dove si trova, non innescherebbe la serie di avventure con cui Carroll l’ha resa immortale; resterebbe bloccata eternamente nel giardino della sua infanzia, spaventata all’idea di attraversare lo specchio. O incapace di immaginare che, al di là di esso, ci sia la più straordinaria delle creature: lei stessa.
Anna Giunchi
(Executive Editor di «IO01 Umanesimo Tecnologico»)