Dal 26 marzo 2025 l’Italia ha un nuovo protagonista online: AI Overview. Un box generativo in cima ai risultati di ricerca. Risposte già pronte. Non snippet. Non Wikipedia. Ma un riassunto ragionato, firmato Google.
Basta digitare una domanda. Gli utenti loggati, maggiorenni, lo vedono subito. Prima i link blu dominavano la SERP. Oggi la sintesi di Big G sta sopra tutto. Effetto immediato? Caos nel mondo SEO. Chi costruiva traffico da anni si trova scavalcato dal motore che cercava di battere. La domanda è chiara: crollo o opportunità?
In termini tecnici, AI Overview è la versione italiana della Search Generative Experience (SGE) di Google: sfrutta una variante del modello di linguaggio Gemini per analizzare query complesse, selezionare le fonti e generare risposte articolate.
Il risultato è un “collage intelligente” di prospettive diverse, arricchito da immagini, bullet point e “Mostra altro”. Visivamente impossibile ignorarlo. “Above the fold”, separato dal resto della pagina. Da desktop: fonti a lato. Da mobile: sotto il testo. La logica è semplice: prima la risposta AI, poi i link organici.
Un featured snippet – cioè un estratto evidenziato – che ha ridisegnato la gerarchia della SERP. Perché mentre i siti arretrano, Google avanza. E non solo con la sintesi AI: anche gli annunci infatti restano, e in alcuni casi si inseriscono dentro lo stesso overview. Monetizzazione prima. Link organici dopo.
Il traffico crolla. I blog indipendenti chiudono. Siti grandi perdono fino al 40% delle visite. Anche chi lavorava da anni per costruire una community solida si trova improvvisamente scavalcato. “Immaginate di vedere il vostro traffico web crollare del 90% da un giorno all’altro”, dice Matteo Flora – aka “lastkinight” sui social e professore in Fondamenti di Sicurezza delle AI e delle SuperIntelligenze. The Planet D, travel blog di successo, ha dovuto chiudere. L’AI Overview di Google ha risucchiato visitatori e ricavi, trasformando ciò che era un vantaggio competitivo in un pericolo immediato.
Il problema non è solo numerico. È strutturale. I riassunti generati dall’intelligenza artificiale si basano su pochi grandi siti, favorendo chi ha già peso e visibilità. Wikipedia, YouTube e grandi media diventano fonti principali. I piccoli editori vengono tagliati fuori. La logica della SERP si ribalta: prima la risposta AI, poi tutto il resto.
Il calo del traffico e della visibilità è confermato anche da fonti esterne: secondo il Pew Research Center, i click sui link esterni passano dal 15% all’8%, con solo l’1% degli utenti che clicca sulle fonti citate nei riassunti generati dall’AI (Digital Spice). Inoltre, Dealers League evidenzia come le AI Overviews rispondano direttamente alle query (ricerche) degli utenti, riducendo la necessità di cliccare su siti web e causando una perdita di visibilità e ricavi per gli editori online.
Il rischio è chiaro: la pluralità dell’informazione è minacciata. I contenuti di qualità diventano economicamente insostenibili. Google trattiene traffico e i ricavi pubblicitari, lasciando gli editori in un limbo complesso. “Il patto fondamentale del web è stato rotto”, avverte Flora. È la Tragedy of the Commons – la “tragedia dei beni comuni”, cioè il meccanismo per cui una risorsa condivisa viene sfruttata da molti senza che nessuno ne sostenga i costi, fino a impoverirla o distruggerla – che qui diventa realtà: il valore della produzione editoriale viene cannibalizzato, rendendo la sopravvivenza dei piccoli siti quasi impossibile.
Al tempo stesso, Google ha stretto accordi economici con pochi grandi editori. Questi sopravvivono, mentre i più piccoli rischiano di sparire. La diversità delle fonti è compromessa. Ci troviamo davanti a un bivio: o si attua una regolamentazione seria, capace di difendere editori indipendenti e pluralità, o ci si troverà in un web centralizzato, dominato da pochi player, dove le informazioni si uniformeranno e l’utente resterà intrappolato nella piattaforma.
Nonostante questo, i contenuti originali sono ancora la linfa del web – anche se il sistema li sfrutta fino a renderli economicamente insostenibili. Ogni click su un sito originale diventa quindi un atto di resistenza. Un “voto” per un web più aperto, pluralista e, forse, sostenibile.
Nicoletta Biglietti
(Redazione)