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La macchina è in grado di creare?

Di Pedro Medina Reinón 03/10/2025

Abstract

 

L’Intelligenza Artificiale è ormai parte integrante della nostra quotidianità, grazie all’accesso pubblico a strumenti di vario genere negli ultimi anni. Nell’ambito dell’arte e della creatività, la questione fondamentale da affrontare è se la macchina possa realmente essere considerata creatrice.

Questo articolo si propone di rispondere a tale interrogativo da diverse prospettive, spaziando dalle questioni fondamentali della filosofia della mente e della filosofia del linguaggio fino ad argomentazioni che collocano il dibattito in una dimensione culturale e linguistica legata alla tecnologia.

In tal modo, la problematica viene analizzata anche in chiave più pratica e sociale, evitando sia posizioni catastrofiste che adesioni acritiche. Si esamina, dunque, l’attribuzione dell’autorialità nell’arte computazionale e le sue implicazioni nel campo della proprietà intellettuale, offrendo una sintesi dello stato dell’arte e prendendo in considerazione strategie ricorrenti nell’arte contemporanea, nonché aspetti giuridici e teorici che riconducono infine allo statuto stesso dell’opera d’arte.

 

Keywords

Intelligenza artificiale – Artificial Intelligence

Creatività – Creativity

Autorialità – Authorship

Innovazione – Innovation 

Ars combinatoria – Ars combinatoria

 

L’irruzione nella nostra quotidianità, il 30 novembre 2022, di ChatGPT (Generative Pre-trained Transformer) di OpenAI[1], ha rappresentato un evento di rilevanza mondiale. Si è rapidamente diffuso – si può affermare che sia stato il fenomeno di adozione tecnologica più rapido della storia, con un milione di utenti nella prima settimana di esistenza – e ha presto aperto la strada ad altre forme di intelligenza artificiale generativa, non solo per la creazione di testi, ma anche di immagini, video, suoni, musica, etc.

Ciò che rappresenta un salto qualitativo di queste nuove intelligenze artificiali, e in particolare di ChatGPT, è l’interazione avanzata in linguaggio naturale, ovvero la possibilità di sostenere conversazioni fluide e personalizzabili con la macchina, con un’eccezionale capacità di generazione testuale a partire da un’enorme quantità di dati.

Come accade con ogni grande fenomeno sociale, emergono immediatamente gli “apocalittici” e gli “integrati”, sorgono timori e si scatenano entusiasmi di ogni tipo, facendo affiorare numerose domande. Tra tutte, soprattutto nell’ambito della creazione, la più significativa è: la macchina è in grado di creare? 

Per iniziare a rispondere a tale quesito, possiamo risalire alla “macchina del pensiero” di Ramon Llull, sviluppata nella sua Ars magna generalis ultima (1305)[2] e ad altri esempi, come la Dissertatio de arte combinatoria (1666) di Leibniz, o le teorie di matematici come Blaise Pascal o Pierre de Fermat, anch’essi del XVII secolo, che anticipano il labirinto della combinazione infinita. In effetti, tutti questi precedenti ci mettono sulle tracce di un’ars combinatoria che affascinava numerosi gruppi di scrittura collaborativa[3], senza dimenticare Jorge Luis Borges, Italo Calvino, Umberto Eco, Georges Perec o Raymond Queneau, tra gli altri. 

Infatti, poco dopo che a Nanni Balestrini venne l’idea di utilizzare un IBM 7070 per realizzare, nel 1961, il poema Tape Mark 1 – ossia, dopo aver introdotto nella memoria del computer diversi componimenti poetici affinché un programma, seguendo determinate regole, componesse un “nuovo” poema a partire dai precedenti – Italo Calvino sollevò un notevole polverone con la conferenza Cibernetica e fantasmi (1967). In essa annunciava l’avvento dell’“automa letterario”, capace di elaborare testi mediante combinazioni predefinite di elementi, dunque in modo analogo a quanto oggi realizza un’intelligenza artificiale generativa; proprio come aveva previsto Ada Lovelace con la nascita della “scienza poetica” (1842)[4].

A tal proposito, Calvino unisce l’esigenza di nuovi linguaggi delle avanguardie artistiche con l’innovazione tecnologica: «La sua vera vocazione sarebbe il classicismo (…) nulla ci vieta di prevedere che a un certo punto senta l’insoddisfazione del proprio tradizionalismo e si metta a sconvolgere completamente i propri codici: produrrà avanguardia per sbloccare i propri circuiti intasati da una troppo lunga produzione di classicismo»[5].

Conclude che non sarà la letteratura a scomparire, bensì «la figura dell’autore, questo personaggio anacronistico, enfant gâté dell’inconsapevolezza, portatore di messaggi, direttore delle coscienze, espositore della propria anima nell’esposizione permanente delle anime». Tuttavia, corresse lievemente la propria opinione due anni dopo, in seguito alla polemica suscitata dalla sua affermazione: «È questa macchina letteraria spastica che agisce attraverso l’autore la vera responsabile dell’opera; ma essa non funzionerebbe senza gli spasmi d’un io immerso in un tempo storico, senza la sua reattività, una sua ilarità convulsiva, una sua rabbia da dar la testa contro i muri»[6].

È chiaro che le parole di Calvino furono pronunciate con l’intento di provocare un dibattito, ma con esse anticipava una questione oggi fondamentale, che si può riassumere nel chiedersi se la macchina sia creativa o semplicemente riproduttiva.

A tal fine, è necessario orientare la riflessione verso questioni che appartengono al campo della filosofia della mente e della filosofia del linguaggio. In effetti, il celebre Computing Machinery and Intelligence di Alan Turing[7] si apre con l’interrogativo se le macchine possano pensare. Subito dopo, egli afferma che la risposta dipende dal significato attribuito ai termini “pensare” e “macchina”. La sua proposta è il noto “gioco dell’imitazione” (divenuto popolare come “Test di Turing”), che consiste nel valutare se una macchina sia in grado di ingannare una persona al punto da farle credere di interagire con un altro essere umano. I punti principali sono: l’interazione indiretta (nessun contatto fisico, solo tramite testo), la capacità della macchina di simulare perfettamente il linguaggio umano, di dimostrare una facoltà di inganno e di imitare l’intelligenza umana; anche se ciò non implica necessariamente che sia consapevole di ciò che sta facendo. In questo modo, il Test di Turing non mira a dimostrare che una macchina pensa, bensì che può agire come se pensasse.

Esistono ormai numerosi esempi di chatbot e assistenti virtuali che ci collocano pienamente in questo scenario. Inoltre, recentemente un rapporto scientifico pubblicato dalla rivista Nature ha dimostrato che la poesia generata da un’intelligenza artificiale è indistinguibile da quella umana; anzi, in alcuni casi viene persino valutata in modo più favorevole[8].

A tal proposito, e al di là della mera efficacia, esiste un altro esperimento mentale classico di grande rilevanza: “La stanza cinese” di John Searle. Consiste nell’immaginare una persona che non parla cinese all’interno di una stanza chiusa; mentre si trova lì, riceve domande in cinese e utilizza un manuale per trovare le corrispondenze tra i simboli cinesi, riuscendo così a rispondere in quella lingua. Dall’esterno della stanza, queste risposte appaiono corrette e portano a credere che chi risponde possieda effettivamente competenze linguistiche; tuttavia, ciò non significa che conosca davvero la lingua. Il successo dell’operazione è il risultato della corretta applicazione di regole sintattiche, ma ciò non implica la comprensione del significato, ovvero della semantica.

È per questo che Searle esprime un chiaro scetticismo riguardo alla possibilità che un computer possa sviluppare una “mente” o essere paragonabile ad essa, principalmente perché il fatto di ottenere buoni risultati non implica necessariamente che sia in grado di comprendere ciò che fa o di manifestare un’intenzionalità. Dimostra soltanto un’efficace capacità combinatoria nella manipolazione dei dati secondo regole predefinite (sintassi). Da qui deriva l’inadeguatezza nell’utilizzare il termine “intelligenza”, nonostante la straordinaria memoria e la portentosa capacità combinatoria, poiché il computer simula la mente umana, ma non può duplicarla.

Tuttavia, l’impressionante capacità di questa nuova ars combinatoria apre un panorama in cui è difficile affermare con certezza quali siano i limiti di ciò che potrà realizzare in futuro. Nonostante ciò, Searle sostiene che i progressi dell’intelligenza artificiale non modificano in modo sostanziale la questione di fondo, poiché il paragone tra mente e computer rimane paradossale: si confondono sintassi e semantica, si simula la comprensione, ma non si comprende realmente ciò che si sta facendo[9].

Forse un giorno si raggiungerà la “singolarità tecnologica”, intesa come il punto di svolta del progresso tecnologico esponenziale che potrebbe modificare radicalmente questo tipo di analisi, anche se attualmente tale possibilità appare ancora lontana. Ciononostante, Ray Kurzweil sostiene che intorno al 2029 l’intelligenza artificiale supererà la mente umana e che, entro il 2045, espanderà l’intelligenza umana di un milione di volte[10]. In ogni caso, anche qualora si raggiungessero tali traguardi, ciò non implicherebbe necessariamente il conseguimento dell’autocoscienza e dell’intenzionalità; questioni sulle quali si è a lungo interrogata la filosofia della mente e del linguaggio, e rispetto alle quali la posizione di Searle rimane una delle più autorevoli.

Negli ultimi anni, numerosi studiosi hanno riflettuto sulla creatività dell’intelligenza artificiale generativa, giungendo a conclusioni analoghe a quelle di Searle. Nel 2019, Matteo Pasquinelli si esprimeva nei seguenti termini: «L’IA può creare opere che non siano imitazioni del passato? È in grado di andare oltre i limiti stilistici imposti dai dati d’intrattenimento? La risposta è: non proprio»[11].

È inappropriato parlare di “creazione” se – come è stato osservato – le reti neurali generative si limitano a riconoscere schemi per identificare stili, poiché la loro attività non può essere definita altro che come un “lavoro di imitazione”[12], che ripete il passato e non genera nulla ex nihilo. Tuttavia, quanti artisti, compositori e scrittori producono davvero qualcosa di completamente nuovo, senza alcun riferimento al passato? In fin dei conti, tutti creiamo “sulle spalle dei giganti”.

Approcci all’intelligenza artificiale di questo tipo aiutano a comprendere filosoficamente le questioni che oggi ci troviamo ad affrontare, e al tempo stesso spostano l’interrogativo su un piano culturale e linguistico relativo alla tecnologia. Ciò consente un approccio più neutro alle questioni tecnologiche, prendendo le distanze dagli allarmismi abituali dei mezzi di comunicazione.

D’altro canto, si può riformulare la domanda in modo diverso: non insistere sulla creatività, che difficilmente può essere riconosciuta se vi è solo imitazione e mancano coscienza e intenzionalità, bensì affrontare la questione in termini più pratici e sociali. Ci si può interrogare, dunque, sull’attribuzione dell’autorialità nell’arte computazionale e su tutto ciò che essa comporta nel campo della proprietà intellettuale[13].

D’altra parte, ciò rimanda anche ad antichi dilemmi filosofici relativi alla responsabilità nell’uso dello strumento, nella consapevolezza che ogni tecnologia non è un mezzo neutro per raggiungere un fine, avendo ciascuna potenzialità e pericoli diversi (da un coltello, a seconda dell’uso che se ne fa, all’energia nucleare)[14].

In ogni caso, possiamo riflettere su come l’autorialità o lo statuto artistico di un’immagine vengano messi in discussione a causa dell’intervento decisivo di un mezzo; una questione che può essere fatta risalire all’introduzione dell’uso del dagherrotipo. Ci troviamo oggi di fronte a una serie di considerazioni giuridiche e concettuali che rimandano precisamente allo statuto stesso dell’opera d’arte.

***

Analizziamo alcuni casi storici estranei all’ambito dell’intelligenza artificiale per comprendere che cosa è realmente in gioco. Pensiamo a un artista come Andy Warhol, che fece di sé stesso un’opera d’arte vivente, dissolvendo i confini tra arte, artista e celebrità e trasformando la propria immagine, personalità e vita in materia d’arte. Immaginiamo ora una fotografia che ha come soggetto Andy Warhol, realizzata da un fotografo professionista per propria iniziativa, ma la cui stampa fotografica è firmata da Warhol: a chi apparterrebbe l’autorialità? Una risposta immediata affermerebbe che appartiene al fotografo, poiché l’inquadratura, l’illuminazione e la composizione sono decisioni creative essenziali per l’aspetto dell’opera e denotano uno sguardo – quindi una soggettività e un’intenzionalità – e dunque l’autorialità dovrebbe essere attribuita a chi ha realizzato la foto. Tuttavia, esiste anche la possibilità di riconoscere l’autorialità a Warhol, non soltanto per via della firma – che potrebbe aumentare il valore dell’opera, ma non necessariamente conferirle autorialità – bensì perché si potrebbe considerare un’“opera derivata” appartenente alla performance messa in atto nel momento in cui la fotografia è stata scattata, avendo come protagonista la sua immagine, di cui egli è l’autore.

Non si tratta di scegliere tra un’opzione o un’altra, bensì di riconoscere il pensiero estetico che scaturisce dalla considerazione di tali questioni. Inoltre, è possibile tornare a riflettere ancora una volta sulle differenze tra opera d’arte e oggetto industriale, assumendo come criterio discriminante l’originalità e la sua produzione non meccanica.

Un esempio significativo fu il processo “Brancusi contro gli Stati Uniti d’America” (1927), avviato in seguito al sequestro di Uccello nello spazio alla dogana – parte del gruppo di venti sculture di Brancusi trasportate a New York da Marcel Duchamp – poiché l’opera venne considerata un prodotto industriale e non un’opera d’arte, con la conseguente imposizione di dazi doganali. La sentenza del giudice non solo riconobbe che l’oggetto era un’opera d’arte – sulla base dell’intenzionalità dell’artista, del suo prestigio e del parere di diversi critici d’arte – ma contribuì anche ad ampliare il concetto di arte negli Stati Uniti oltre la figurazione, accrescendo la sensibilità nei confronti dell’astrazione.

Lo stesso Duchamp si trovò in una situazione analoga, in questo caso contro il direttore della Tate Gallery. In ogni caso, ciò che conta è avviare una riflessione sulle frontiere labili dell’arte e sulla necessità di rinnovare i criteri secondo cui se ne stabilisce il riconoscimento, tanto più oggi, in un contesto caratterizzato da significativi processi di smaterializzazione e di “collaborazione”. Da tutto ciò, quello che appare evidente è l’affermazione dell’idea dell’artista rispetto alla realizzazione materiale dell’opera.

Questi casi non sono direttamente trasferibili all’ambito delle immagini realizzate con l’intelligenza artificiale; tuttavia, aiutano a comprendere che il valore artistico dell’opera non risiede in questioni tecniche legate al mezzo utilizzato. Allo stesso modo, pongono all’orizzonte considerazioni importanti, come la rilevanza e la definizione di ciò che intendiamo per “collaborazione” nell’esecuzione dell’opera, nonché gli accordi legali che possono sottendere alla sua realizzazione.

In questo momento, il dibattito sembra collocarsi principalmente sul piano giuridico. Infatti, sono già emerse le prime sentenze relative alle numerose denunce presentate contro le aziende di intelligenza artificiale per l’utilizzo di immagini senza il pagamento dei diritti d’autore[15].

A casi celebri, come quello di Portrait of Edmond de Belamy, realizzato dal collettivo Obvious, nei quali l’autorialità è stata riconosciuta giuridicamente a colui che applica la tecnologia in modo originale – dunque, a chi formula l’idea e non a chi sviluppa il software – si sono presto aggiunti altri, come quello di Stephen Thaler e il suo DABUS (Device for the Autonomous Bootstrapping of Unified Sentience), un sistema di intelligenza artificiale che aveva generato invenzioni in modo autonomo. Il tribunale australiano stabilì che, secondo la legge australiana sui brevetti, un’IA può essere riconosciuta come inventore[16]. Tuttavia, questa sentenza non modifica sostanzialmente quanto detto in precedenza, poiché deriva dal fatto che la legge non prevede esplicitamente che l’inventore debba essere una “persona fisica”; infatti, i diritti del brevetto non vengono concessi all’IA, bensì al suo responsabile legale (Stephen Thaler). Si tratta dell’ennesimo esempio di sensazionalismo giornalistico, che non ha avuto ulteriori conseguenze significative; anzi, altri casi simili negli Stati Uniti e in Europa – sia in relazione all’intelligenza artificiale, sia riguardo alla registrazione di immagini generate algoritmicamente – hanno respinto tale impostazione[17].

Rimane tuttavia irrisolta una questione essenziale: la tutela dei creatori umani le cui opere – o, per essere più precisi, “la rappresentazione matematica delle opere”, memorizzata sotto forma di un insieme di circuiti neurali ridondanti capaci di evocare l’immagine – costituiscono oggi i dataset delle grandi piattaforme di IA. La questione dei diritti d’autore è da sempre problematica, e lo è ancor di più oggi, poiché gli aspetti tecnici legati all’IA possono assumere una dimensione ontologica, senza che sia chiaro in che senso ciò avvenga. Questo accade perché vi sono elementi non previsti dagli strumenti giuridici tradizionali, come il copyright (ad esempio, il divieto di addestrare un algoritmo su un’opera) e al contempo entrano in gioco principi relativi al diritto alla diffusione del sapere. Senza dimenticare che qualsiasi “ispirazione” al passato, a seconda delle circostanze, può sfociare in un caso di plagio.

A tal proposito, si può citare un episodio ancora più remoto: Vasari racconta, nelle celebri Vite[18], come un giovanissimo Michelangelo copiò un’opera antica conservata nella galleria dei Medici per realizzare la sua Testa di Fauno (1489-1492), una pratica giustificata come necessaria per la sua formazione; in effetti, sono numerosi i casi nella storia in cui il riferimento al passato è stato accettato come parte integrante del processo educativo dell’artista. D’altra parte, esistono anche strategie artistiche contemporanee come l’appropriazione e la decontestualizzazione, in cui un nuovo contesto attribuisce un diverso significato o statuto al medesimo elemento. Tutto ciò solleva interrogativi sulla questione dell’autorialità: fino a che punto occorre riconoscere il nostro debito verso gli autori del passato? Dove si collocano i confini tra appropriazione, plagio, omaggio, citazione, copia, versione, sintesi, ispirazione…?

Le leggi sul diritto d’autore stabiliscono già dei limiti. Da un lato, per quanto riguarda l’autorialità, si parla di reato di plagio quando la ripetizione di elementi formali non è posta al servizio di una nuova idea o significato e quando qualcuno si appropria dell’opera altrui spacciandola per propria, a condizione che avesse una conoscenza previa dell’opera originaria e che il suo utilizzo fosse premeditato; cosa non sempre facile da dimostrare. Dall’altro lato, le leggi sul diritto d’autore tutelano l’opera, ma non lo stile di un autore, ed è proprio questo ciò che oggi viene identificato da diverse aziende di intelligenza artificiale, che si servono di immagini pregresse per l’addestramento dei propri sistemi senza il consenso degli autori. In loro difesa, tali aziende affermano che il loro operato non si discosta da quanto hanno sempre fatto gli artisti, come il già citato Michelangelo o come in molti casi di appropriazione artistica, ad esempio nella Pop Art.

A tal proposito, si possono considerare casi come quello della canzone Heart on My Sleeve (2023), presentata come una collaborazione tra Drake e The Weeknd. In realtà, fu creata mediante algoritmi generativi addestrati sulle voci dei due artisti, senza il loro consenso. Il brano fu immediatamente rimosso a seguito della denuncia per violazione del copyright da parte di Universal Music Group, poiché era stato pubblicato usurpando un’identità; tuttavia, con ogni probabilità, la situazione sarebbe stata molto diversa se fosse stato presentato come una parodia e con un’autorialità differente.

D’altro canto, ha suscitato grande polemica anche il caso di Théâtre D’opéra Spatial, un’immagine creata con Midjourney da Jason Allen (presidente di Incarnate Games), che vinse un concorso nell’ottobre del 2022. Si trattava di un concorso di arte digitale che, in linea di principio, ammetteva opere modificate con programmi come Photoshop, e dunque, strettamente parlando, l’opera non violava il regolamento. Ben diverse sono invece le considerazioni da fare nel caso dell’artista Boris Eldagsen, vincitore dei Sony World Photography Awards 2023 nella categoria “Open–Creative”, che non si presentò a ritirare il premio per l’opera PSEUDOMNESIA | The Electrician, realizzata con Stable Diffusion. Le dichiarazioni dell’artista tedesco furono allora orientate a riaccendere il dibattito su ciò che intendiamo oggi per fotografia[19].

Quest’ultimo caso si ricollega direttamente alle riflessioni avviate a seguito del panorama post-fotografico[20]. In effetti, in occasione della mostra di Daniel G. Andújar Damnatio memoriae: bufones, alquimistas y máscaras (2023), allestita con false fotografie documentarie di rivoluzioni (Old Fakes News) generate mediante IA, ha avuto luogo un dialogo tra l’artista e Joan Fontcuberta. Da questo incontro emerge una convinzione: tali processi rappresentano un’opportunità per mettere in discussione la natura stessa delle immagini, per riflettere – ed esercitare un pensiero critico – sullo statuto di veridicità della fotografia e sulle possibilità offerte dalle tecnologie emergenti per, in definitiva, interrogarsi su cosa sia un’opera d’arte[21] e quale impatto produca nell’immaginario collettivo; dunque, anche nella costruzione della soggettività e dell’identità.

Questo è l’aspetto realmente rilevante, poiché quest’opera intende – come ogni buon fake – non ingannare sul contenuto, bensì attivare una postura critica nei confronti del mezzo e dell’uso che se ne fa. Perché non si tratta in alcun modo di eludere la storia, bensì – come direbbe Mark Godfrey in The Artist as Historian[22] – di mostrarla in modo più adeguato, invitandoci a riflettere sulla sua costruzione e sulle sue prospettive.

Per questo è rilevante – come sottolineano artiste e filosofe quali Claire Anscomb e, prima di lei, Boris Groys – promuovere discussioni filosofiche sulla natura della collaborazione nella pratica artistica tra esseri umani e macchine; tanto più se si considera che la simulazione computerizzata risale al 1958 e che esiste una lunga tradizione di arte generativa che non ha ancora ricevuto un adeguato riconoscimento[23]. Ciò implica, in primo luogo, l’istituzione e l’analisi delle diverse sfaccettature della natura collaborativa e della produzione collettiva in queste pratiche, oltre a una riflessione sui limiti della partecipazione attiva e sul suo carattere decentralizzato[24].

E, soprattutto – se pensiamo a casi come quelli di Fontcuberta o García Andújar – si coglie il potenziale hacker dell’IA nell’arte, ma anche dell’arte nell’IA – basti pensare, ad esempio, a pratiche artistiche come il Live Coding e alla loro promozione della trasparenza[25] –, rivelando come queste nuove realtà debbano essere affrontate a partire da logiche culturali e sistemi di pensiero. Proprio per questo, si rivendica anche il carattere di ricerca che tali pratiche artistiche devono possedere; in caso contrario, le opere saranno condannate a rimanere semplici repliche di terremoti già avvenuti.

Questo è ciò che risulta realmente rilevante nel contesto attuale. Tuttavia, è opportuno menzionare anche alcune risoluzioni giuridiche che permettono di delineare lo stato della questione sulla creatività e l’intelligenza artificiale fino a questo momento. Un esempio è la sentenza di un tribunale tedesco in merito alla richiesta del fotografo Robert Kneschke di rimuovere alcune sue fotografie –protette da copyright– dal database di LAION, l’organizzazione no-profit dedicata alla raccolta di immagini per l’addestramento di algoritmi di IA. In primo luogo, LAION ha risposto che non memorizza le immagini, ma soltanto i collegamenti alle stesse; inoltre, in quanto ente di ricerca, è autorizzata a riprodurre opere al fine di estrarne informazioni. Infine, benché il dataset sia stato utilizzato da aziende, il database in sé non ha finalità commerciali ed è destinato esclusivamente alla ricerca, risultando pertanto tutelato dalla sezione 60d della Legge sul Diritto d’Autore della Germania[26].

L’altro processo che risponde direttamente alla domanda se la macchina possa creare è quello intentato contro OpenAI, a seguito della denuncia da parte di Raw Story Media Inc. e Alternet Media Inc., per l’uso dei loro dati nell’addestramento degli algoritmi, in presunta violazione del Digital Millennium Copyright Act (DMCA). Di questo lungo processo giudiziario, l’aspetto più significativo della sentenza è che l’intelligenza artificiale generativa sintetizza, non copia. Ciò non annulla il carattere imitativo del processo, poiché tutto ciò che viene generato si basa su contenuti preesistenti, ma solleva OpenAI dall’accusa di plagio e dall’obbligo di versare diritti d’autore. La sentenza si fonda in gran parte sui metodi impiegati, che implicano un processo di sintesi – e non di copia – che parte dal passato per creare, o meglio, ricostruire un’opera nuova[27]. In definitiva, un nuovo Michelangelo alle prese con la Testa di Fauno, o, forse più precisamente, un Warhol che giocherebbe volentieri con l’IA in compagnia di Duchamp.

Tuttavia, questi casi non implicano l’accettazione della loro inevitabilità, bensì rappresentano un avvertimento rispetto alle evoluzioni future, che comportano molteplici sfide e rischi, come quello di automatizzare il mondo della creazione, generando una cultura visiva progressivamente più derivativa. Anzi, invitano a guardare avanti, come fa il robot Abel, che curiosamente confessa che, per lui, «una delle emozioni più complesse da comprendere è la nostalgia»[28].

In conclusione, questa nuova ars combinatoria può fornirci risposte con un altissimo livello di sviluppo e perfezione, anche se –per il momento– solo l’essere umano è in grado di formulare domande realmente significative[29].

Per questo motivo, per quanto riguarda l’uso dell’IA generativa nella creazione di immagini, è chiaro che –per ora– essa non genera nuovi linguaggi, anche se è in grado di creare opere nuove a partire da materiali preesistenti. In fin dei conti, tanto dal punto di vista giuridico quanto da quello kantiano, l’essenziale nell’arte resta l’idea e i percorsi che l’immaginazione può aprire alla conoscenza, indipendentemente dai mezzi impiegati per la realizzazione dell’opera. Tuttavia, anche assumendo una concezione dell’arte tanto ampia, i problemi relativi all’autorialità, in questo ambito, non risultano ancora risolti, poiché continuerebbero a legittimare l’utente che si avvale dell’IA di turno a operare come ha fatto finora, contribuendo alla crescita di una cultura visiva sempre più standardizzata, in una nuova fase delle estetiche del remix.

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Pedro Medina Reinón

 

(Pedro Medina Reinón è docente presso l’Accademia di Belle Arti Santa Giulia di Brescia e presso l’Istituto Europeo di Design; è stato docente di Storia dell’Arte, Estetica, Semiotica, Analisi delle Tendenze e Teoria della Percezione, oltre che avere promosso diversi workshops e progetti speciali – Murcia, Madrid, Torino -).




































1)

La prima versione di DALL-E, anch’essa di OpenAI, risale al 2021, mentre la seconda è stata rilasciata nell’aprile del 2022.

2)

Cfr. J. Maseda e P. Medina, P. (a cura di), El hilo de Ariadna. Lectores, navegantes, Casa del Lector-Fundación Germán Sánchez Ruipérez, Madrid 2012, pp. 60-63.

3)

Sono questioni affrontate in P. Medina, Islarios de contemporaneidad. Anomia digital y crítica de perspectivas múltiples, CENDEAC, Murcia 2021, pp. 247-248, la cui seconda parte è attualmente in fase di preparazione.

4)

Cfr. V. Tanni, Dialoghi artistici con la macchina, «Artribune», LXXII, maggio 2023, p. 46. Questa pioniera dell’informatica ipotizza la possibilità di utilizzare i computer oltre il semplice calcolo, per scopi come la composizione musicale.

5)

Cit. in R. Di Caro, Quando Calvino inventò l’automa letterario, «L’Espresso», 02 aprile 2023, p. 31.

6)

Ibidem.

7)

A. Touring, Computer Machinery and Intelligence, MIND, LIX, Edimburgo 1950 (trad. it. Macchine calcolatrici e intelligenza, a cura di D. Marconi, Einaudi, Torino 2025).

8)

B. Porter ed E. Machery, AI-generated poetry is indistinguishable from human-written poetry and is rated more favorably, «Nature», 14 novembre 2024. https://www.nature.com/articles/s41598-024-76900-1 (consultato il 22 novembre 2024).

9)

Cfr. la raccolta di saggi curata da A. Condello: J. Searle, Intelligenza artificiale e pensiero umano. Filosofia per un tempo nuovo, Castelvecchi, Roma 2023.

10)

R. Kurzweil, The Singularity is Nearer. When We Merge with AI, Penguin Putnam, New York 2024.

11)

M. Pasquinelli, How a Machine Learns and Fails – A Grammar of Error for Artificial Intelligence, «Spheres-Journal for Digital Cultures», V, 2019, p. 15. https://spheres-journal.org/wp-content/uploads/spheres-5_Pasquinelli.pdf (consultato il 4 gennaio 2024).

12)

J. Zylinska, AI Art: Machine Visions and Warped Dreams, Open Humanities Press, Londra 2020, p. 25.

13)

Cfr. P. Medina, op cit, pp. 127, 147 e 249.

14)

Idem, pp. 222-223.

15)

È considerevole il numero di casi aperti, come si può osservare in AA.VV., Case Tracker: Artificial Intelligence, Copyrights and Class Actions, «BakerHostetler», 2024. https://www.bakerlaw.com/services/artificial-intelligence-ai/case-tracker-artificial-intelligence-copyrights-and-class-actions/ (consultato il 23 dicembre 2024).

16)

Cfr. R. Matulionyte, Australian court says that AI can be an inventor: what does it mean for authors?!, «Wolters Kluwer», 29 settembre 2021. https://copyrightblog.kluweriplaw.com/2021/09/29/australian-court-says-that-ai-can-be-an-inventor-what-does-it-mean-for-authors/ (consultato il 2 febbraio 2022); AA.VV., Thaler v Commissioner of Patents [2021] FCA 879, Federal Court of Australia, 30 luglio 2021. https://www.judgments.fedcourt.gov.au/judgments/Judgments/fca/single/2021/2021fca0879 (consultato il 2 febbraio 2022).

17)

Cfr. A. Robertson, The US Copyright Office says an AI can’t copyright its art, «The Verge», 21 febbraio 2022. https://www.theverge.com/2022/2/21/22944335/us-copyright-office-reject-ai-generated-art-recent-entrance-to-paradise (consultato il 2 febbraio 2024); B. Brittain, US Copyright Office denies protection for another AI-created image, «Reuters», 7 settembre 09 2023. https://www.reuters.com/legal/litigation/us-copyright-office-denies-protection-another-ai-created-image-2023-09-06/ (consultato il 15 settembre 2023).

18)

G. Vasari, Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti, qualsiasi edizione.

19)

G. Giaume, Vince il concorso fotografico con lo scatto fatto dall’Intelligenza Artificiale. Ma tutti sapevano, «Artribune», 20 aprile 2023. https://www.artribune.com/arti-visive/fotografia/2023/04/vince-concorso-fotografico-scatto-intelligenza-artificiale-tutti-sapevano/ (consultato il 20 aprile 2024).

20)

Cfr. P. Medina, op. cit., pp. 146-148 e 278-283.

21)

Lo stesso Fontcuberta ammette in questa occasione: «È un momento tanto sconcertante quanto lo fu, con ogni probabilità, per le prime persone che nel 1839 videro un dagherrotipo e non riuscivano a comprendere come quel frammento di specchio avesse potuto catturare una scena della realtà. Quello stupore, quello smarrimento, si sta ripetendo oggi, e proprio come quando i pittori sostenevano che la fotografia non dovesse entrare nei saloni, oggi molti affermano che l’intelligenza artificiale non sia arte e che vada espulsa. Ma vale la pena ricordare che tutto questo lo abbiamo già vissuto», T. Sesé, El día que la IA nos quitó la venda de los ojos, «La Vanguardia», 21 giugno 2023, p. 42.

22)

M. Godfrey, The artist as historian, «October», CXX, 2007, pp. 140-172.

23)

Tra i pionieri: Michael A. Noll, Joan Shogren, Vera Molnar, senza dimenticare Max Bense, che nel 1969 definì il concetto di “estetica generativa”: «teoria matematico-tecnologica della trasformazione di un repertorio in istruzioni, delle istruzioni in procedure e delle procedure in realizzazioni», cit. in J. Martín Prada, La creación artística visual frente a los retos de la inteligencia artificial. Automatización creativa y cuestionamientos éticos, «Eikón / Imago», XIII, 2024, p. 4. https://revistas.ucm.es/index.php/EIKO/article/view/90081/4564456568878 (consultato il 21 giugno 2024).

24)

C. Anscomb, AI: Artistic Tool or Collaborator, ART seminar, Università degli Studi di Torino, Torino, 21 marzo 2023.

25)

Per Live Coding si intende una pratica artistica e pedagogica che consiste nella creazione e modifica del codice in tempo reale, permettendo così di osservare il processo creativo mentre si sviluppa. La trasparenza si configura, dunque, come uno dei suoi principi fondamentali, in linea con le origini accademiche della rete e, soprattutto, con la cultura hacker (cfr. P. Medina, op. cit., pp. 124, 132-133, 175 e 217), che mira a condividere liberamente il sapere per favorirne la crescita e promuovere processi aperti che invitino altri utenti a partecipare attivamente ai percorsi attivati. Cfr. A.F. Blackwell et al., Live Coding: A User’s Manual, The MIT Press, Cambridge, Massachusetts 2022; J. Chicau e J. Reus, Anatomical Intelligence. Live coding as performative dissection, «Organised Sound», XXVIII, 2, agosto 2023, pp. 290-304. Questo aspetto emerge nel dialogo con Rafael Martins Machado Dantas Bresciani, al quale devo l’ultimo riferimento.

26)

C. Xiang, A Photographer Tried to Get His Photos Removed from an AI Dataset. He Got an Invoice Instead, «Vice», 28 aprile 2023. https://www.vice.com/en/article/a-photographer-tried-to-get-his-photos-removed-from-an-ai-dataset-he-got-an-invoice-instead/ (consultato il 29 settembre 2024); E. Dans, La huella de LAION y la trascendencia de una victoria judicial, «Enrique Dans», 29 settembre 2024. https://www.enriquedans.com/2024/09/la-huela-de-laion-y-la-trascendencia-de-una-victoria-judicial.html (consultato il 29 settembre 2024).

27)

Id., La inteligencia artificial generativa sintetiza, no copia, «Enrique Dans», 09 novembre 2024. https://www.enriquedans.com/2024/11/la-inteligencia-artificial-generativa-sintetiza-no-copia.html (consultato il 09 novembre 2024).

28)

A. Dini, Intervista ad Abel, il robot adolescente made in Italy, «Wired», 10 ottobre 2024. https://www.wired.it/article/abel-robot-adolescente-empatico-universita-pisa/ (consultato il 22 novembre 2024).

29)

Cf. J. Yanes, Inteligencia Artificial: ¿el fin de los matemáticos?, «OpenMind – BBVA», 19 aprile 2023. https://www.bbvaopenmind.com/tecnologia/inteligencia-artificial/inteligencia-artificial-trabajo-los-matematicos/ (consultato il 20 agosto 2023).