«Nel futuro le immagini ci arriveranno a casa come l’acqua corrente dai rubinetti»[1].
Paul Valéry, 1928.
Nell’attuale tecno feudalesimo, un social in particolare è stato definito «the factory for creativity»[2], la fabbrica della creatività. Nato nel 2010, Pinterest si basa sulla condivisione di immagini e brevi video (in misura minore). L’utente può catalogare le immagini in contenitori detti board (bacheca). In base ai contenuti salvati, un algoritmo ne consiglia di nuovi, coerenti e correlati tra loro, in un flusso continuo e inarrestabile. Si possono scorrere immagini (e pubblicità) per ore, senza arrivare mai a una fine. Meno noto ai più rispetto ad altri cugini della Silicon Valley, Pinterest è in realtà molto popolare tra chi si occupa di narrazione visuale. Ho sentito più volte frasi come: «Mi guardo un po’ Pinterest per farmi venire qualche idea», «Wow guarda cosa mi ha consigliato Pinterest, non ci avevo pensato», «Pinterest sa cosa mi serve meglio di me». Chi all’inizio è scettico, di norma si ricrede molto presto dopo averlo provato. È ormai una sottintesa tappa nella realizzazione di qualcosa, una musa digitale sempre disponibile. Non per nulla, lo slogan di Pinterest è: «Un feed migliore che arricchisce la tua anima». Sottotitolo: «La piattaforma di ispirazione visuale dove le persone cercano, salvano e acquistano le migliori idee del mondo per tutti i momenti della vita». Ogni settimana vengono salvate su Pinterest 1,5 miliardi di immagini, come se la collezione del British Museum (la più ampia al mondo) venisse moltiplicata per 187,5 volte. Gli utenti mensili attivi sono 498 milioni, per lo più tra i 25 e i 34 anni, ma l’età media si sta abbassando. Solitamente le persone vanno online per tenersi aggiornati, mantenere contatti o svagarsi, ma l’80% degli utenti di Pinterest dichiara di farne uso per ispirarsi e aumentare la propria creatività per progetti professionali o di vita[3], facendo quello che la stessa Pinterest ha definito «inspiration snacking»[4], una degustazione di idee. Ma cosa si intende davvero per “creatività”? La creatività è quel processo mentale che comporta la generazione di idee, la flessibilità di sostituire quelle esistenti, l’affrontare i problemi in vari modi e offrire soluzioni uniche. Implica un pensiero associativo: le nuove idee non nascono ex nihilo, ma dalla ricombinazione delle conoscenze già disponibili[5]. Secondo studi recenti, le persone creative sviluppano idee nuove collegando concetti diversi grazie alla loro particolare struttura della memoria[6]. La creatività sarebbe quindi guidata dalla memoria, funzione psichica e neurale fondamentale per conservare le impressioni durature, più o meno complete, degli stimoli esterni. La memoria si divide in sensoriale, a breve termine, di lavoro, a lungo termine ed è alla base della nostra conoscenza e identità. Più che un deposito, la memoria è equiparabile a un processo dinamico e incessante di ricategorizzazione: nella memoria a lungo termine l’informazione viene conservata reinterpretandola continuamente in base a ciò che già sappiamo[7]. Fondamentale per tutto ciò è l’attenzione: solo le informazioni rilevate da essa vengono affidate alla memoria, momentaneamente o sul lungo termine. Tuttavia, prestare attenzione, acquisire e conservare informazioni ha un costo elevato e alla lunga può risultare stancante. La nostra memoria di lavoro, quella usata per leggere queste righe e comprenderne il significato, è molto limitata rispetto alla capacità complessiva del cervello, basti pensare che tale memoria fatica a ricordare un numero telefonico composto da più di sette cifre[8]. Per la prima volta nella storia dell’umanità, la maggior parte della popolazione mondiale ha accesso a quasi tutte le nozioni fattuali esistenti, letteralmente a portata di mano. Quest’epoca traboccante di informazioni potrebbe mettere a dura prova la nostra memoria o supportarla? Sappiamo che l’uso di internet nel presente aumenta l’uso futuro di internet stesso: se utilizziamo in modo soddisfacente una piattaforma online, tendiamo a continuare a usarla nel tempo, anche per effettuare compiti semplici e rispondere a domande facili[9]. Ciò potrebbe portare a ridurre o sostituire la necessità per alcuni sistemi di memoria, per esempio privilegiando il recupero delle informazioni rispetto alla loro conservazione[10], una minore attivazione delle regioni cerebrali associate alla memoria di lavoro[11], alterazioni della connettività funzionale dei circuiti di recupero della memoria[12] e una riduzione del volume delle regioni cerebrali associate al controllo cognitivo[13]. Uno studio condotto al MET di New York ha rilevato che i visitatori dedicano circa 27,2 secondi per opera[14]. Se può sembrare poco, chi naviga su internet impiega circa 0,05 secondi per farsi un’opinione su un sito web[15]. Ricordiamo, l’attenzione è imprescindibile per la memoria. L’era digitale sembra essere in buona parte un’era di riproduzione della memoria, che viene duplicata, supportata, sostituita[16]. Citando Benjamin: «La tecnica di riproduzione, moltiplicando la riproduzione, pone al posto di un evento unico una sua grande quantità»[17]. Internet è una sconfinata galleria di simulacri, da cui deduciamo la qualità delle cose senza sperimentarle davvero[18]. E chi sono i curatori di questa galleria aperta 24/7? Per esempio, come sceglie Pinterest le immagini da mostrare agli utenti? Come la quasi totalità dei social odierni, Pinterest funziona tramite un algoritmo, che determina ciò che gli utenti vedono nel proprio home feed, la prima pagina mostrata aprendo l’app o il sito web. Se un certo numero di utenti interagisce con una data immagine (salvando, commentando o cliccandoci sopra), l’algoritmo la identifica come popolare, quindi di “alta qualità”, e aumenta la frequenza con cui la propone a un maggior numero di utenti, per un preciso asso temporale. Come per molti altri social, l’obiettivo è che gli utenti passino più tempo possibile sulla piattaforma: più utenti attivi significa più visualizzazioni pubblicitarie e aumento del fatturato aziendale, che nel 2023 per Pinterest è stato di 3 miliardi, crescendo del 9% dall’anno precedente[19]. L’algoritmo è quindi capace di prevedere, raffinando continuamente una teoria su chi siamo e cosa vorremmo, proponendoci ciò che più ci interessa, ignorando quasi del tutto il resto, creando una bolla[20] di idee familiari intorno a noi. Per una piattaforma che dovrebbe stimolare nuove idee, ha senso un l’algoritmo che stabilisce cosa dovrei vedere in base ai miei già definiti e assodati interessi, affinché io passi più tempo online? Come può avvenire quella contaminazione tra diversi concetti, alla base della creatività, se continuo a rivedere solo immagini che incontrano i miei gusti? È facile consumare contenuti conformi alla nostra idea del mondo, più difficile è andare oltre i nostri schemi mentali e mettere in gioco le nostre certezze. Tutto questo sembra perfetto per aiutarci a trovare ciò che sappiamo già di volere, ma non a trovare quello che non sappiamo di volere[21]. Certo, sono gli utenti stessi a segnalare all’algoritmo quale immagine definire di qualità, fornendo potenzialmente un forte contesto egualitario e democratico per valutare l’espressione creativa, dando a tutti la possibilità di essere visti da tutti, accorciando le distanze[22]. A volte però come umani ci fidiamo troppo della tecnologia, dimenticando che anche gli algoritmi commettono errori[23].
Mentre frequentavo il corso di Scenografia, ho tenuto una bacheca Pinterest per raggruppare varie immagini di spettacoli teatrali, con 1681 immagini totali. Nello stesso periodo, credo di aver visto dal vivo a teatro più o meno cento spettacoli. Grazie a internet ho potuto entrare in contatto con un numero altissimo di scenografie, che probabilmente non avrei mai visto di persona in quello stesso arco temporale. Senza dubbio, ciò ha contribuito alla formazione di numerosi stimoli creativi e nuove idee. Però non ho davvero “osservato” quegli spettacoli, ho solo guardato da sola, tramite uno schermo, una riproduzione bidimensionale di un evento, che di norma ha luogo in uno spazio tridimensionale, dal vivo con movimenti, suoni e luci, come rito collettivo. Forse si è trattato di un approccio troppo passivo nell’acquisizione di informazioni, selezionando solo ciò che più ritenevo interessante, come un collezionista di farfalle in un bosco digitale. Andando di persona a teatro, ho invece assistito a spettacoli che non avevano come unico obiettivo il soddisfare solo i miei già stabiliti interessi e schemi mentali. Più volte infatti ho dedicato la mia attenzione, per una o due ore, a qualcosa che poco soddisfava i miei criteri. Ammetto di non aver mai fissato un’immagine su Pinterest per così a lungo, per quanto potesse suscitare il mio interesse. Internet mi ha fornito un numero incredibilmente maggiore di spunti in base ai miei gusti, ma forse ho sviluppato un maggior pensiero critico osservando dall’inizio alla fine uno spettacolo per me poco soddisfacente. Nel 1435 Leon Battista Alberti affermò che un dipinto è come una finestra aperta sulla realtà[24]. Internet può rappresentare un’infinità di finestre sulla realtà, se sappiamo come usarlo e regolamentarlo. Forse la questione più urgente è capire come sviluppare la capacità di esaminare i contenuti online, diventando più consapevoli di come funzionano gli algoritmi dietro le piattaforme, di come tutto ciò interagisce con la nostra attenzione, memoria e creatività. Un atto che diventa fondamentale per chi opera come comunicatore visuale, per continuare a essere portatori di bellezza e innovazione in modo cosciente.
Silvia Lorica