Si cammina tra installazioni immersive, tavolini che offrono dei workshop, dal costruirsi un proprio mini robot, a colare in forme residue di plastica calda per produrre nuovi prodotti utili come un pettine o un portachiavi. Si passa davanti a schermi che mostrano immagini e dati curiosi, bancarelle con frutta e verdura ‘bio’ da spizzicare, riunioni guidate da speaker e muri con immagini di un futuro possibile.
Panic yes/no: questo è il tema di quest’anno. Posto all’ingresso c’è un contatore dei voti dati dai visitatori a questa domanda: “yes” è il bottone premuto dalla maggioranza. L’esperimento fa parte di un progetto di ricerca sulla paura collettiva, sulla paura dell’ignoto che suscitano i cambiamenti portati dalla tecnologia. L’ars electronica si espande su tutta la cittadina, sull’incantevole capitale dell’Alta Austria. Una cittadina che non dorme, ma è all’avanguardia, nonostante sia così tradizionale, così “bellina”.
L’iniziativa fu fondata nel 1979 da un gruppo di persone guidato da Hannes Leopoldseder, giornalista e intendente. Essa comprende il festival annuale, un museo interattivo chiamato Ars electronica center e un laboratorio di ricerca e sviluppo, il Future Lab.
L’obiettivo è di esplorare e dare forma all’interazione tra arte, tecnologia e società, focalizzandosi sui cambiamenti sociali, politici, ecologici ed economici indotti dal progresso tecnologico. Con un grande senso di responsabilità e di sensibilizzazione verso le diverse tematiche, il festival mostra come sia possibile un futuro migliore. L’evento è green, zero rifiuti, nonostante i suoi 122.000 visitatori e 1472 partecipanti attivi – queste le cifre di quest’anno – fra cui artisti, scienziati, e attivisti di 83 nazioni diverse. 684 i punti di programma e 379 mostre. Vi si trova qualcosa per tutti gli interessi e i gusti. Gli amanti di musica troveranno spettacoli di sperimentazione musicale nel bellissimo nuovo areale dell’Anton Universität, mentre chi preferisce svagarsi con la scienza visita il Biolab, il parterre del fantascientifico Ars Electronica Center sulla riva del Danubio.
Sempre in questo centro, nello spazio Deep Space 8 K, una sala immersiva e interattiva dotata di schede grafiche e laser avanzati, si tiene la presentazione della giovanissima Charlotte Roosen, storica dell’arte e curatrice del Kunsthistorisches Museum di Vienna, uno dei più importanti musei al mondo per pittura europea ed arte antica. La presentazione mostra le opere di Michaelina Wautier, una grande e straordinaria pittrice fiamminga del Seicento. Le pittrici misteriose della storia si lasciano contare sulle dita di una mano, visto che a quei tempi le donne non venivano ammesse alle scuole di pittura. Si cerca ancora di capire come Michaelina riuscì ad imparare le tecniche riportate con tanta delicatezza su tela. Nella presentazione sembra quasi che le immagini prendano vita grazie a fotografie ad altissima definizione. Haltadefinizione, un’agenzia italiana, lo rende possibile. Gli spettatori nel Deep Space assistono a queste proiezioni su un muro di 16 metri per 9.
Grazie a questi metodi avanzati, gli storici dell’arte riescono ad interpretare meglio le opere ed a leggere con maggior facilità la simbologia ed i significati nascosti, come le intenzioni dell’artista. Charlotte Roosen invita non solo a visitare la mostra di Michaelina Wautier in allestimento a Vienna, ma anche ad essere, come Michaelina, coraggiosi e poco convenzionali, all’avanguardia per i suoi tempi. Quest’ultimo appello si riferisce specialmente alle donne, artiste e non.
Meno classica, ma ugualmente interessante, è la performance della nuova versione del videogioco del collettivo Art and Technology Lab, istituto affiliato dell’università nazionale d’arte della Corea seguito dal professore Sngmoo Lee. Scarecrow rekindle è un’esperienza con VRV, un visore di realtà virtuale di ultima generazione. Attori guidano gli avvenimenti e allo stesso tempo altri ragazzi del team monitorizzano gli avvenimenti su dei PC. Si propone uno scenario fantastico in cui i partecipanti entrano in interazione con un mondo virtuale. Si tratta della storia di uno spaventapasseri che, rispetto ai suoi compagni riesce, nonostante gravi difficoltà, a salvaguardare il proprio cuore. La trama si rivela man mano che si va avanti. Ogni partita, nella quale si esplorano scenari di caverne pietrose e montagne rocciose e si incontrano nemici feroci, è unica.
“È una metafora” così dice il professor Sngmoo Lee, direttore del progetto. “Quello spaventapasseri ha deciso di mantenere il proprio cuore, nonostante le tentazioni della vita, della società. E sarà lui, poi, a salvare i suoi compagni!”. Il professore sorride e spiega con molta attenzione dettagli e evoluzione del making of. Lee Doha, giovanissimo attore e programmatore sudcoreano, interpreta per Scarecrow rekindle lo spaventapasseri. Alla domanda di come riesca a mantenere l’equilibrio tra la realtà e questo mondo parallelo, virtuale, risponde: “Sono attivo in tre ambiti, come in un triangolo: uno di questi è essere attore nel mondo virtuale. Questo triangolo sono io. Mi sento realizzato facendo ciò che faccio. Mi sono sempre sentito un po’ strano, diverso, mentre qui, specie a questo festival, sono tutti come me. Questo è bellissimo! Sì, mi manca il mondo reale, questo sì! Non so se piove, se fuori c’è il sole. Oggi abbiamo fatto cinque partite e devo essere sempre molto concentrato su cosa succede, ma ne vale la pena. Sono felicissimo di far parte di qualcosa di così innovativo, qualcosa che non c’è mai stato”.
Allo stesso tempo, sempre nella Postcity, solo qualche piano più in basso, nel sotterraneo, si estende un labirinto di corridoi che ospitano diverse esposizioni e performance. Nei corridoi c’è un’enorme ruota che diffonde nebbia, opera distopica, dei cani robot al guinzaglio che nonostante siano completamente di metallo, con i loro disperati tentativi di liberarsi dalla loro prigione, suscitano persino compassione. Moltissime altre installazioni invitano a riflettere.
Arrivati quasi al punto più profondo di questo labirinto sotterraneo chiamato anche “il Bunker”, troviamo l’installazione di Noemi Iglesias Barrios, una giovane artista spagnola, e del suo collaboratore Victor Mazón che si occupa della parte digitale. Si tratta di vasi di vetro soffiato appesi al soffitto: ognuno brilla di un colore diverso, giallo, rosa, verde…The falling city. Nell’oscurità del bunker, l’installazione luminosa ha un fascino per sé. Noemi, la sorridente ideatrice dell’opera, spiega che la telecamera CCTV con il programma skeleton recognition coglie movimenti d’affetto: baciarsi, abbracciarsi e tenersi la mano. L’intensità della luce delle lampade cambia in base al conteggio. “Le camere CCTV inizialmente erano state progettate per usi militari e furono installate senza chiedere ai civili se erano d’accordo. Sorvegliano aree e ingressi a territori considerati pericolosi. Perché non mettere il focus su altro? Oggigiorno viene generata una cultura della paura. Non penso che siamo così terribili…” Alla domanda su quale sia il suo scopo e quale tasto premere, panico sì o no, lei risponde: “La digitalizzazione ci dà la falsa sensazione di avere il mondo nelle nostre mani e di non essere soli. Non consiglio di cadere nel panico! Assolutamente no, per la stessa ragione che dicevo prima. È bene concentrarsi sulle cose belle e non alimentare la cultura della paura. Di nuovo, se dici sì al panico metti il tuo corpo, la tua mente e la tua anima in questo stato di coscienza. Preferisco lanciare un messaggio di serenità e invitare le persone a trovare la loro medicina per calmare questo panico che sì, sento anch’io, ma è importante trovare i propri rituali per sentire la propria pace”.
Anche se diversissime l’una dall’altra, le opere presentate hanno tra loro un filo conduttore. Sembra come se si volesse recuperare qualcosa che la tecnologia non ci offre, ma che ritroviamo in queste opere d’arte: la nostra umanità. L’arte è qui per ricordarci della nostra fragilità. Ci ricorda che tutti abbiamo sogni e desideri ed aspiriamo a qualcosa di migliore. E quindi, eventualmente, per calmare quel così tanto tematizzato “panico”, bisogna ricorrere a questi valori: al coraggio di fare ció in cui si crede, di non lesinare con gesti di affetto, un abbraccio, un bacio…di dedicare del tempo a chi ne ha più bisogno, anche se il tempo è denaro, di ascoltare la propria voce interiore e non adeguarsi a chi sbaglia. Ed ogni giorno, nuovamente, decidere di salvaguardare il proprio nucleo, il proprio cuore.
Maria Giulia Ascher