Indietro

«Dica, dica […] Ma non più di quattro domande» Cit.

Quattro domande… o poco più, agli artisti che hanno lavorato alla performance audiovisiva “Noizescape”, in seno all’ultima edizione di “Arti Incrociate” (Brescia, 4-5 aprile 2025), Giulia Argenziano alla parte di light design, Rafael Bresciani alla parte musicale. Un progetto ibrido e convergente sia in termini artistici che didattici: “Arti Incrociate” coinvolge sia professionisti che studenti, sia l’Accademia SantaGiulia che il Conservatorio Luca Marenzio.

Di Anna Giunchi 30/04/2025

Anna Giunchi: Come avete costruito la performance? Siete partiti da un input comune, o ciascuno da un presupposto individuale?

Rafael Bresciani: La performance è stata costruita a moduli. Da una parte c’era un tema in comune per entrambi gli interventi [allievi e Rafael, ndr.], tema dell’edizione 2025 del Convegno della rivista «IO01 Umanesimo Tecnologico», mentre dall’altra (una volta consonante a questo tema) ognuno dei creativi coinvolti portava avanti la propria ricerca/scelta artistico/estetica. Nel mio caso è stato presentato un concetto che già esisteva e faceva gioco con questa tematica. La performance G R A V I T Y parla giustamente degli elementi “primari” della Terra come punti di incontro e trazione tra il nostro immaginario e la realtà del pianeta. 

AG: Qual è la vostra lettura del concetto di “arti incrociate”? 

Giulia Argenziano: Per me, il concetto di “arti incrociate” si manifesta pienamente nell’esperienza proposta dall’evento omonimo: un dialogo tra suono e immagine, tra le arti visive e quelle musicali, in cui le diverse discipline non si giustappongono, ma si intrecciano generando una forma espressiva altra. L’intero progetto si fonda su una visione sinestetica e intermediale dell’arte: un territorio in cui percezioni, media e linguaggi si contaminano, sfumando i confini tra visivo, uditivo e performativo. È proprio in questi incroci, in queste “fusioni inattese” tra linguaggi, che si aprono nuove possibilità espressive. 

AG: Lo spazio espositivo ha (ovviamente e necessariamente) influenzato il lavoro di Giulia… quanto a Rafael: la performance musicale è influenzata dal contesto, o ne è indipendente? Parallelamente: ovviamente, la performance musicale e quella video erano legate… questo vale anche per l’allestimento scenografico, oppure si tratta di due interventi indipendenti?

RB: La performance era indipendente, comunque è stata scelta (tra altri set possibili) per essere consonante alla tematica, allo spazio disponibile e anche al pubblico presente. 

GA: Il mio intervento è stato profondamente influenzato tanto dallo spazio della performance, quindi dalle sue caratteristiche strutturali e architettoniche, quanto dal lavoro che gli studenti e Rafael sarebbero andati a compiere. Partiamo dal presupposto che il mio è stato più che altro un lavoro di light design, pensato per predisporre il pubblico all’ascolto e alla visione, capace di accompagnare quest’ultimo dentro l’esperienza immersiva della performance. Le luci sono state concepite in modo da rispondere a una doppia esigenza: da una parte, permettere la visione chiara dei performer; dall’altra, creare un ambiente sensibile, dinamico, capace di accogliere il pubblico e di dialogare con suoni e immagini. In particolare, ho utilizzato delle barre LED disposte a terra, che delimitavano lo spazio del pubblico e che venivano attivate in tempo reale da me, con colori e ritmi in sintonia con la musica e il video. Questo ha contribuito a generare un’atmosfera percettiva coerente e coinvolgente, in cui ogni elemento – visivo, sonoro, spaziale – partecipava all’esperienza collettiva.


IMG / Noizescape, Arti Incrociate (Accademia di Belle Arti di Brescia SantaGiulia, 4 aprile 2025).

AG: Rafael, la performance musicale era relazionata ai prodotti video… in che modo si è costruita questa relazione? Sei partito da un’idea precisa, o da un input preciso? Giulia, il tuo lavoro sembrava muoversi per sottrazione… una scelta legata allo spazio espositivo, alle caratteristiche della performance…

RB: L’idea precisa era quella di creare una narrazione tra gli elementi basici (olistici) della nostra esperienza umana nel pianeta con la nostra proiezione cognitivo-semantica di essi elementi e tutte le relazioni/forze/dinamiche che si intrecciano in queste dinamiche tra percezione e realtà. Così è stata pensata, composta e realizzata G R A V I T Y. In questo senso, riporto la sinossi della performance:

«G R A V I T Y è un’immersione audiovisiva generativa che trasforma gli elementi primordiali del nostro pianeta — acqua, aria e terra — legati dalla gravità di un palindromo sonoro, in suono e codice. Realizzata con Threnoscope/SuperCollider, la performance incarna un dialogo tra caos e controllo, in cui gli elementi si sviluppano in strati (da texture liquide a droni tellurici) per poi disintegrarsi al contrario. Il climax è un groviglio di elementi sonori in pieno sovraccarico, prima del collasso graduale. Alla fine, resta l’eco del mare: un’onda solitaria, un suono primordiale. Un’allegoria digitale dell’equilibrio fragile tra elementi naturali, legati da una gravità sia sonora che filosofica.»

GA: Sì, è vero: ho lavorato per sottrazione, ed è stata una scelta consapevole, dettata dall’ascolto dello spazio e dalla volontà di non sovraccaricarlo, ma di esaltarne le potenzialità. Piuttosto che intervenire in modo invasivo infatti, ho preferito dialogare con l’ambiente fisico e con l’ambiente multimediale che hanno creato i ragazzi, lasciando che fosse la luce a modulare il ritmo e la percezione dello spazio. La performance già portava con sé una densità sonora e visiva importante. Aggiungere ulteriori elementi scenografici avrebbe rischiato di creare disturbo o ridondanza.


IMG / Noizescape, Arti Incrociate (Accademia di Belle Arti di Brescia SantaGiulia, 4 aprile 2025).

AG: L’idea di un’opera d’arte che riassuma tutte le arti non è recente, come minimo si può far risalire al Gesamtkunstwerk wagneriano… in che modo la dimensione digitale aggiorna, influenza e modifica questa “totalità”?

GA: L’idea di opera d’arte totale, come quella teorizzata da Wagner con il concetto di Gesamtkunstwerk, è un riferimento che sento molto vicino e a cui mi rifaccio spesso anche nella teorizzazione dei miei progetti professionali. Oggi, credo che la dimensione digitale non solo aggiorni quella visione, ma la espanda e la radicalizzi. Le tecnologie attuali permettono infatti un livello di integrazione tra le arti – suono, immagine, gesto, luce, spazio – che coinvolge lo spettatore in modo immersivo, sensoriale, e direi quasi corporeo. Il pubblico infatti non è più solo osservatore: viene attraversato, sollecitato, chiamato a partecipare. Proprio perché i linguaggi digitali fanno parte della nostra quotidianità, possono attivare una connessione diretta, empatica, profonda. L’unione tra tutte queste arti crea un ambiente che parla simultaneamente a più livelli percettivi, accorciando le distanze tra opera e spettatore, tra artista e fruitore, in un rapporto quasi di co-creazione, in cui ci si influenza a vicenda.  

AG: Quale ruolo può giocare l’AI nel contesto dell’arte contemporanea?

GA: Credo che l’intelligenza artificiale generativa possa giocare un ruolo importante e, al tempo stesso, complesso, nel contesto dell’arte contemporanea. Il mio attuale percorso di dottorato nel corso di Arti Visive e Umanesimo Tecnologico si muove proprio all’interno di questo campo: sto cercando di comprendere come l’IA possa diventare un nuovo mezzo espressivo per rappresentare la natura, riformulando il nostro sguardo su di essa in un’epoca segnata dalla crisi climatica e ambientale. Non considero però l’intelligenza artificiale come un fine in sé, né un’autrice al posto dell’artista; ma piuttosto un mezzo, un linguaggio, così come lo sono stati in passato il pennello per il pittore, la cinepresa per il regista o, più recentemente, Photoshop per il grafico.  Naturalmente, il campo è ancora controverso. I confini tra autorialità e generazione automatica sono sfumati, e fenomeni come l’appropriazione non autorizzata di stili o contenuti – penso per esempio alla creazione di avatar “alla Ghibli” diventati virali – pongono questioni etiche fondamentali. È proprio per questo che diventa sempre più centrale il ruolo dell’artista come ricercatore: ciò che conta non è tanto l’output in sé, ma l’idea, la metodologia, la visione che guida il processo. 

 

Anna Giunchi

(Executive Editor di «IO01 Umanesimo Tecnologico»)