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La sceneggiatura è una piattaforma

I nuovi strumenti per scrivere una serie TV nell'era digitale

Di Francesco Buscemi 01/10/2025

Abstract

Questo articolo si propone di indagare la complessa relazione tra la scrittura della serialità televisiva e l’evoluzione tecnologica. Dopo aver delineato un percorso che parte dalle prime fiction televisive italiane, influenzate dal linguaggio teatrale, che prosegue con l’adozione di un modello più cinematografico negli anni successivi, il saggio si concentra sulla “nuova serialità”, emersa con l’avvento del digitale e la proliferazione delle piattaforme di streaming, marcando un radicale cambiamento nel ciclo produttivo, dall’ideazione alla fruizione. Sarà esplorato come le nuove tecnologie, inclusi software di sceneggiatura avanzati e il crescente contributo dell’Intelligenza Artificiale, stiano rivoluzionando ogni fase del processo creativo, alterando le dinamiche tra i professionisti, ridefinendo il rapporto con il pubblico e permettendo alla serialità televisiva di affermarsi come un genere narrativo autonomo e di grande impatto culturale.

Keywords

Scrittura Collaborativa – Collaborative Writing

Serialità Televisiva – Television Series

Tecnologia – Technology

Evoluzione Narrativa – Narrative Evolution

Piattaforme Streaming –  Streaming Platforms

 

Introduzione

Questo articolo si propone di investigare i rapporti tra la scrittura della serialità televisiva e la tecnologia. Dopo una breve analisi sulle fiction televisive fino al Duemila, ci si concentra sulla “nuova serialità”, quella produzione narrativa tv che si apre con Lost e E.R. e continua fino a oggi. Dopo un breve cenno a uno scenario di monopolio RAI, fino agli anni ’80, e a un contesto di sistema misto, fino al 2000, si arriva quindi al panorama odierno, in cui le serie TV sono soprattutto trasmesse dalle piattaforme a pagamento come Netflix, Amazon Prime, Disney Plus e altre. 

Serialità tradizionale e tecnologia

Raccontare storie di finzione è una pratica umana di gran lunga antecedente alla televisione e risalente, per molti studiosi, addirittura all’età del ferro. La narrativa si è evoluta attraverso i secoli grazie a generi teatrali e letterari che sono tutt’ora capisaldi della nostra civiltà: la tragedia, la commedia, l’epica, il dramma, il romanzo sono solo i rappresentanti maggiori di una lista lunghissima. Con l’arrivo dei media, la narrazione si è avvalsa delle nuove tecnologie: il cinema hollywoodiano ha costruito precise strutture narrative che ha poi gradualmente innovato fino ai nostri giorni. E la TV è praticamente nata raccontando anche storie di finzione, spesso traendole da opere letterarie o teatrali. 

 È interessante notare come la tecnologia abbia sempre contribuito in maniera decisiva a creare dei linguaggi audiovisivi specifici e di conseguenza anche a dare una forma precisa a queste narrazioni televisive. Per restare in Italia, la RAI ha cominciato le sue trasmissioni nel 1954 e in quello stesso anno ha iniziato a trasmettere i cosiddetti sceneggiati, opere appunto di finzione basate su romanzi immortali, sia di autori italiani che internazionali. Nella prima fase, la RAI decise di affidarsi per questi prodotti a tecnologie teatrali, ignorando quasi del tutto il cinema. Questo accadde principalmente per esigenze produttive: la sede in cui si scrivevano, giravano e montavano gli sceneggiati era principalmente Milano, la città del teatro per eccellenza, mentre Roma era la città del cinema[1].

Si coinvolsero quindi drammaturghi, registi, attori e persino maestranze del Piccolo Teatro, centro di produzione che aveva già adattato per il palcoscenico alcuni dei romanzi che poi furono alla base dei primi sceneggiati. 

I prodotti che vennero fuori da questa fucina furono quindi prettamente teatrali, basati appunto sulla tecnologia e sul linguaggio del teatro. Basti pensare che alcune di queste serie andavano in onda addirittura in diretta, cosa impensabile oggi per qualsiasi tipo di fiction TV; che a volte i cambi di scena erano a vista; che gli attori recitavano appunto in maniera “teatrale”, enfatizzando espressioni del volto e tono di voce; e che proprio per questo uno dei pochi elementi cinematografici che venne adottato, il primo piano, rendeva questa recitazione troppo enfatica. Gli attori teatrali devono infatti recitare anche per il pubblico delle ultime file, e quindi normalmente esagerano gesti e tono di voce; soprattutto all’inizio, fecero lo stesso anche negli sceneggiati. Solo che spesso questi protagonisti venivano ripresi in primo piano, dando al tutto un effetto di esagerazione che presto risultò stucchevole. 

Da un punto di vista della scrittura, come autori e sceneggiatori vennero coinvolti dei nomi che venivano dalla scrittura per il palcoscenico, come Giorgio Albertazzi, Eduardo De Filippo, Ghigo De Chiara e Diego Fabbri[2], i quali non fecero altro che dare a dialoghi e storie una chiara matrice teatrale. 

Tra la fine degli anni Sessanta e tutti i Settanta, il ricorso al genere giallo cambiò le cose notevolmente. Nei telefilm come Il Tenente Sheridan o Il Commissario Maigret sono il cinema la tecnologia che vengono messi alla base della narrazione: non solo la recitazione di Gino Cervi, Andreina Pagnani o Ubaldo Lai è chiaramente cinematografica; ma le riprese sono più ricercate, il montaggio più veloce (per quei tempi), la scenografia e la fotografia più realistiche[3].

A proposito di scrittura, l’apporto di professionisti non legati al teatro come Mario Casacci e Alberto Ciambricco, o la lungimiranza di alcuni professionisti che venivano dal teatro, ma capirono la differenza con la TV, come nel caso di Andrea Camilleri, allontanò ulteriormente questi prodotti dalla discendenza teatrale, per accostarli al cinema. Ed è proprio in questo momento che la televisione comincia a inseguire il cinema, sempre da lontano ovviamente, per via di budget più ridotti e anche di una selezione più limitata dei contenuti: era infatti considerato fondamentale il fatto che, mentre un film veniva in qualche modo scelto dallo spettatore, che andava al cinema per guardare quello che davvero voleva, la TV arrivasse nelle case in maniera molto meno filtrata, inoltre a guardarla c’erano bambini e persone con maggiori sensibilità rispetto a temi difficili. 

La TV guardava quindi al cinema come a un modello irraggiungibile. Tra gli anni Settanta e Ottanta i kolossal come l’Odissea di Franco Rossi, il Gesù di Nazareth di Franco Zeffirelli o il Marco Polo di Giuliano Montaldo furono confezionati spesso da autori di cinema, i quali accorciarono le distanze tra i due linguaggi grazie al loro mestiere e ai grandi budget delle coproduzioni: si girava una serie che poi andava in onda sulle varie TV europee che l’avevano prodotta. Zeffirelli e Montaldo praticamente girarono dei film molto simili a quelli che facevano per il cinema, ma di sei o dieci ore, annullando la differenza che esisteva tra narrazione al cinema o in TV. Inoltre, visto che il budget era internazionale e molto alto, si presero dei lussi che normalmente non potevano permettersi per prodotti destinati alle sale. 

È stata però la nuova serialità a cambiare tutto: intanto tecnologia e rapporto con il cinema, di conseguenza tecnica del racconto e strategie narrative. 

Nuova serialità e tecnologia

 Dai primi anni Duemila, alcune serie televisive (prime fra tutte Lost e Dr. House, entrambe del 2004) hanno inaugurato quello che oggi possiamo definire, se non un genere televisivo totalmente nuovo, sicuramente un’evoluzione della vecchia serialità che ha rinnovato radicalmente l’intero ciclo del prodotto, dall’ideazione alla fruizione[4].

Non è questo il luogo di approfondire elementi estetici, contenutistici, promozionali o distributivi che altri studi hanno già analizzato in profondità. Qui ci basterà dire che il ciclo del prodotto è in breve diventato un sistema organizzato in maniera ferrea in ogni suo step, e in cui tutti gli elementi spingono nella stessa direzione, sincronizzandosi tra loro. E soprattutto, per il discorso che facciamo qui, che la serialità non copia più il cinema, anzi, se ne smarca, puntando su caratteristiche che solo lei possiede e che il cinema non potrà mai avere. Per esempio, la durata maggiore (alcune serie durano anche novanta ore, mentre nessuna dura due ore come un film per le sale). Il punto è che la durata non è solo un elemento esteriore. Più una serie è lunga, infatti, più ha la possibilità di tessere con lo spettatore una relazione efficace, di sviluppare i personaggi in maniera profonda, di insistere sui temi principali su cui è basata. Un’arma che il cinema non ha, confezionando prodotti di due ore che si auto-concludono. 

Il discorso della tecnologia è fondamentale sotto questo aspetto. La nuova serialità è nata perché la TV si è fatta più complessa, sicuramente più del cinema. Questa complessità è legata alla tecnologia digitale, e non a caso la nuova serialità nasce quando il digitale arriva al consumatore medio sotto forma di internet, computer, e poi social media, smart TV etc. E’ nata così la TV complessa, termine lanciato da un omonimo libro di grande fortuna internazionale[5].

È grazie a internet, per esempio, che Lost e poi Dexter[6] si svilupparono anche al di fuori della TV, in centinaia di forum in cui gli spettatori discutevano della intricatissima trama, avanzavano ipotesi, riflettevano su quello che avevano visto, etc. Insomma, la tecnologia digitale ha reso la Complex TV ancora più complessa, ne ha allargato i confini e ha costruito un nuovo rapporto con il pubblico. 

Le storie sono quindi diventate più efficaci delle serie del passato o di quelle del cinema per le nuove modalità che il digitale ha proposto. È la tecnologia che ha quindi coordinato e orchestrato il lavoro di tutti, prima, durante e dopo la produzione. 

È importante premettere che molti degli strumenti di cui si parlerà qui di seguito sono regolarmente utilizzati anche dal cinema. Ma, mentre in precedenza la TV ereditava dal fratello maggiore alcune tecnologie e le applicava con budget più ridotti, la nuova serialità e il cinema li hanno adottati insieme, partendo alla pari. Una significativa differenza è stata data dal fatto che in alcuni casi, come vedremo, le serie TV ne hanno ricavato più vantaggio. Per restare all’esempio dei forum in cui si commentavano le puntate di Lost, possiamo dire che anche il cinema poteva contare sui forum, ma è la serie TV ad andare in onda un’ora per volta, e quindi a permettere quel dibattito che si sviluppa gradatamente nel tempo su cosa succederà nei prossimi episodi, nelle prossime stagioni o nella puntata finale. 

 

La scrittura di una serie in digitale

 Grazie alla tecnologia digitale, la sceneggiatura è oramai diventata una piattaforma. I nuovi software (Celtx, ScriptCloud, Screentweet e Screenpad sono tra i più usati) consentono di caricare immagini, disegni, voci registrate, musiche, etc. Ancora una volta, quindi, il digitale consente di utilizzare diversi elementi e di orchestrare le loro voci in modo da supportare maggiormente uno scopo, in questo caso l’efficacia dello script[7].

Questa convergenza di linguaggi diversi all’interno di uno script ha cambiato tutto. Mentre si scrive, infatti, l’autore può aggiungere le foto dei set in cui si potrebbe girare quella scena, caricare i disegni della scenografia, i toni di voce con cui pronunciare quella battuta, etc. Lo scrivere si integra con gli altri stadi del processo, mentre con le tecnologie precedenti lo script era a sé stante.  Questo ha anche cambiato gli equilibri tra le varie professioni e tra cinema e TV. Il cinema è rimasto legato alla produzione di un testo di circa due ore che ha un processo a compartimenti stagni: prima viene scritto, poi girato e infine montato. Si è quindi rimasti alla tradizionale guida da parte del regista che supervisiona tutte e tre le fasi. Nelle serie TV, invece, oggi gli sceneggiatori hanno più potere di chi dirige il set[8]. Lo showrunner, il leader indiscusso di ogni produzione, è infatti uno scrittore e non un regista. Come spiega Jason Mittell in Complex TV, infatti, quando una sceneggiatura viene approvata e mandata sul set per essere girata dal regista, gli sceneggiatori lavorano già alle puntate e alle stagioni successive. Il regista è quindi “tagliato fuori” dal lavoro creativo dell’ideazione. Questo ha dato alle serie TV la possibilità di staccarsi dal sistema produttivo del cinema e di trovare un sistema proprio, adatto alle peculiarità del suo linguaggio. Ancora una volta, ha sfruttato meglio la nuova tecnologia[9].

Inoltre, l’utilizzo di questi software, con testi audio o visivi che si aggiungono allo script, ha portato a una sorta di collaborative writing, perché anche gli altri professionisti possono aggiungere elementi alla sceneggiatura: il costumista un’idea per un vestito, il musicista un tema per ogni specifica scena, lo scenografo un bozzetto del suo lavoro. Ancora una volta tutto si integra e dà maggiore forza al progetto. Lo sceneggiatore Kath Dooley racconta di come, oltre alla tradizionale scrittura, la sua attività consiste anche nel girare scene con il telefonino per suggerire un punto di vista della telecamera o un esempio di montaggio. E che spesso chiede ad altri professionisti un feedback su queste scene[10]. Se lo può permettere perché la nuova serialità, come abbiamo visto, è un genere guidato da chi scrive. 

La tecnologia digitale dà inoltre allo sceneggiatore la libertà di testare potenziali sviluppi della storia: aggiungere un personaggio, toglierne un altro, espandere le azioni del co-protagonista, cambiare le caratteristiche dell’antagonista, etc. Senza l’ausilio multimediale non sarebbe possibile una resa così realistica delle varie opzioni, che permettono invece di sfidare i limiti e i confini che ci si era dati con la sceneggiatura tradizionale e analogica. 

Questi software vengono usati spesso anche per vendere uno script. È stato provato che una sceneggiatura presentata in questa veste digitale a gruppi di potenziali finanziatori ha molte più possibilità di essere venduta. Il vecchio script, oramai, non è più sufficiente per attirare fondi o promuovere il film. 

Un altro punto importante è che un aiuto digitale alla scrittura di una storia arriva con i feedback, che grazie alla rete oggi sono velocissimi, quasi istantanei dopo la programmazione di una puntata. I forum e i social media in cui si parla della serie in questione vengono scandagliati e le opinioni degli utenti analizzate per evitare che qualcosa che non è piaciuta torni anche in episodi futuri. Da qui l’abitudine crescente di cambiare in corsa gli script di puntate alla cui realizzazione mancano pochi giorni. 

È evidente che la tecnologia digitale abbia inaugurato un rapporto nuovo tra il testo e il pubblico. L’audience cosiddetta “attiva”, oggi, va ben oltre il semplice feedback, e condiziona i contenuti delle puntate successive in maniera rilevante. È questo un altro momento della scrittura in cui entrano in gioco altri dipartimenti della produzione, in questo caso il marketing o gli analisti. Marketing che tra l’altro adesso utilizza le tecniche della sceneggiatura per i propri fini, essendo il racconto narrativo molto efficace sul piano emozionale dell’audience e quindi perfetto per promuovere o persuadere al consumo di qualcosa[11].

Anche qui, il cinema dispone delle stesse tecnologie e dello stesso strumento, ma è ovvio che una volta che il film è nelle sale non possa essere cambiato. Il feedback digitale su un film può condizionare il sequel o qualche altro prodotto della stessa casa di produzione, ma il “testo film” viene pubblicato tutto in una volta; a differenza delle serie TV, che possono fare tesoro del feedback del pubblico di internet e modificare gli episodi successivi della stessa stagione e quelli delle stagioni successive.

È infine interessante notare come ci sia stato un vero e proprio scambio di competenze tra sceneggiatori e mondo digitale: da una parte gli sceneggiatori sono diventati un po’ dei coder, alle prese con questi software; dall’altra, alcuni generi nati come digitali, come per esempio i videogiochi, hanno sposato le regole classiche dello script e si servono sempre più di sceneggiatori per confezionare storie più efficaci e complesse[12].

Il contributo dell’intelligenza artificiale (AI)

 In ultimo, anche l’Intelligenza Artificiale (AI) sta entrando con forza nello stadio di scrittura di una serie TV[13]. Alcuni software la utilizzano infatti per far dire le battute di una scena alla voce dell’attore (ricreata con l’AI, appunto) prima che quello la dica veramente durante le riprese, per capire che effetto possa avere e per modulare il tono di voce, suggerire sfumature o altro.

Questa abilità dell’AI di ricreare la voce dell’attore sta aiutando molto nella scrittura dei dialoghi[14].

In epoca analogica, il trucco adottato dagli sceneggiatori per verificare quanto fossero naturali e spontanee le battute che avevano scritto, consisteva nel leggerle ad alta voce. Come abbiamo visto, l’AI clona la voce dell’attore scelto per quel ruolo e fa quindi ascoltare agli sceneggiatori e a tutti quelli che leggeranno lo script le battute lette proprio da chi le dirà sul set: si tratta di un tasso di fedeltà alla realtà difficilmente migliorabile. Sceneggiatori e altri collaboratori a questo punto possono ancora lavorare sui dialoghi, prima che sulla voce dell’attore, rendendoli più credibili. È stato dimostrato che questa tecnica consente di risparmiare molto tempo in fase di riprese, perché i dialoghi non devono essere cambiati durante lo shooting e il regista e lo stesso attore sanno già qual è il tono giusto con cui dire quelle frasi. E sappiamo che risparmiare tempo, sul set, significa risparmiare soldi. 

Andando ancora a ritroso nel lavoro dello sceneggiatore, è utile citare Chia Chi Lin, capo dei MoonShine Studio[15], che ha dichiarato di usare alcune piattaforme AI come Stable Diffusion, ControlNet e LoRA, ancora prima della scrittura di una sceneggiatura, nel momento dell’ideazione di una storia. L’AI ha infatti una capacità straordinaria di connettere una enorme quantità di dati, esempi, modelli, etc, molti di più di quelli che può mettere insieme la mente umana. Lin e molti suoi colleghi la usano quindi per sviluppare diverse storie di finzione partendo da un paio di personaggi, oppure per cercare potenziali nuove strade rispetto a una traccia di storia elaborata dagli autori. 

Peter Huang, fondatore di Reno Studios[16], ha recentemente raccontato di utilizzare la AI per ottimizzare il lavoro delle varie fasi del processo di produzione, dallo storyboarding alle riprese. E anche per sedurre gli investitori e ottenere più fondi rispetto a quelli che si potrebbero ottenere con uno script tradizionale[17]. In entrambi i casi, l’AI è qualcosa di più di uno strumento che facilita e velocizza il lavoro degli sceneggiatori. Diventa quasi uno sceneggiatore in più, che ha visto molti più film e letto molti più script dei colleghi umani, e che neanche riesce più a risalire a dove ha trovato quel personaggio o ha visto quell’ambientazione, anche perché quel personaggio e quell’ambientazione che l’AI crea sono a loro volta il frutto del mix di centinaia di altri personaggi e ambientazioni viste da altre parti. Inoltre, l’AI aiuta a visualizzare concetti astratti e supportare così l’organizzazione del lavoro di tutti. Alla fine, più che una serie di innovazioni tecnologiche, si assiste alla nascita di una nuova forma narrativa, resa possibile dalle nuove tecnologie digitali e dall’intelligenza artificiale. 

Si può dire quindi in definitiva che l’AI abbia rivoluzionato tutto il processo produttivo di una sceneggiatura[18]. In epoca analogica e fino alle prime tecnologie digitali, questo processo era molto chiaro: si scriveva prima l’idea del film, conosciuta come soggetto; poi era il turno della scaletta, che faceva chiarezza sulla struttura della storia, mettendo in fila tutte le azioni più importanti; poi si scriveva il trattamento, in cui si sviluppavano personaggi e azioni; e, infine, la prima versione della sceneggiatura, seguita da una revisione e da una nuova versione, a volte finale, ma altre volte la prima di una serie infinita di bozze continuamente corrette.

Con l’intelligenza artificiale, la tecnologia entra già nella fase del soggetto, perché come abbiamo visto l’AI aiuta a testare e forzare i limiti della storia e andare oltre la vicenda ideata dagli sceneggiatori, quando non a suggerirla sulla base della descrizione dei personaggi principali. Lo stesso accade con la scaletta e il trattamento e infine con le revisioni, queste ultime legate al fatto che l’AI ha una grande capacità di identificare e correggere errori, molto più acuta degli esseri umani. Infine, è stato notato che l’intelligenza artificiale non possiede quei bias relativi a ideologie, esperienze personali, preconcetti e altro che hanno spesso gli umani e che a volte rendono meno efficace una sceneggiatura[19].

Conclusione

 Questo articolo ha analizzato l’influenza della tecnologia nell’attività di scrittura di una serie televisiva. L’influenza tecnologica su questo tipo di attività creativa-professionale è cominciata ben prima del digitale, già nell’epoca degli sceneggiati RAI degli anni Cinquanta e Sessanta. È l’epoca in cui la televisione guarda al teatro come modello di macchina produttiva e di significazione. Gli sceneggiatori di quei prodotti sono infatti degli autori di teatro, ma è tutta la macchina tecnologica degli sceneggiati che si appoggia alla forma espressiva del palcoscenico. Il modello-cinema arriverà negli anni Settanta e poi Ottanta, anche grazie a un gruppo di registi di cinema come Franco Zeffirelli o Giuliano Montaldo, che accetteranno di girare serie TV coprodotte da diversi Paesi europei. Per la TV, il problema è sempre lo stesso: il cinema appare come un modello irraggiungibile a cui ci si poteva solo ispirare. 

Sarà il digitale a dare alla TV degli strumenti che permetteranno al piccolo schermo di sopravanzare il cinema: una serie di software per scrivere sceneggiature che sono in breve diventati vere e proprie piattaforme intermediali in cui convergono diversi linguaggi, dallo scritto, al visivo, al sonoro. Premesso che gli stessi strumenti sono a disposizione anche del cinema, si è visto come per le serie TV questi strumenti siano stati più utili, per caratteristiche specifiche del genere. In definitiva, è stato anche grazie a questi device digitali che le serie TV hanno trovato una propria strada creativa e produttiva che le ha sganciate dagli altri linguaggi a cui si erano prima affidate (teatro e cinema); strada che ha contribuito alla loro affermazione come il genere oggi più capace nell’influenzare l’immaginario collettivo dell’audience globale. 

 

Bibliografia

E. Dagrada , Inspector Maigret and the Teleromanzo: A Case Study of Early Italian Television, «Series: International journal of TV serial narratives», IX, 2, 2023, pp. 41-51.

F. Dayo, A.A. Memon e N. Dharejo, Scriptwriting in the Age of AI: Revolutionizing Storytelling with Artificial Intelligence, «Journal of Media & Communication», IV, 1, 2023, pp. 24-38.

K. Dooley, Digital ‘underwriting’: A script development technique in the age of media convergence, «Journal of Screenwriting», VIII, 3, 2017, pp. 287-302.

N. Dusi e G. Grignaffini, Capire le serie TV: Generi, stili, pratiche, Carocci, Roma 2020.

Eleven Labs, How AI is innovating the field of scriptwriting, «Eleven Labs», 21 giugno 2024. https://elevenlabs.io/blog/how-ai-is-innovating-scriptwriting (consultato il 7 agosto 2025).

C.Gregoriu, ‘Times like these, I wish there was a real Dexter’: Unpacking serial murder ideologies and metaphors from TV’s Dexter internet forum, «Language and Literature: International Journal of Stylistics», XXI, 3, 2012, pp. 274-285.

R. Harman, How technology is changing the Craft of Screenwriting, «Raindance», 23 ottobre 2019. https://raindance.org/how-technology-is-changing-the-craft-of-screenwriting/ (consultato il 7 agosto 2025).

G. Lapini, Milano e la televisione, «Storia di Milano», ultima modifica 8 marzo 2006.  https://www.storiadimilano.it/citta/milanotecnica/televisione/tv.htm (consultato il 7 agosto 2025).

N.F. Lund, Applying the Hollywood scriptwriting formula to destination branding, «Current Issues in Tourism», XXIV, 8, 2021, pp. 1058-1078. 

J. Mittell, Complex TV: Teoria e tecnica dello storytelling delle serie TV, Minimum Fax, Roma 2017.

E. Recalcati, Il caso dello sceneggiato televisivo “I fratelli Karamazov”: il “cristianesimo sofferto” di Diego Fabbri nella Rai pedagogica dell’era bernabeiana, «Schermi, storie e culture del cinema e dei media in Italia», I, 2, 2017, pp. 219-232. 

Redazione, Digital technology revolution in film and television: How virtual production and generative AI are paving the way for engaging content, «TAICCA (Taiwanese Content Catalogue)», 21 novembre 2024.  https://culturetech.taicca.tw/en/resources/digital-technology-revolution-2024  (consultato il 7 agosto 2025).


Francesco Buscemi

(Francesco Buscemi è stato per molti anni giornalista e autore televisivo. Ha conseguito un dottorato alla Queen Margaret University a Edimburgo e ha insegnato nelle università di Stirling, Bournemouth e allo IULM. Francesco ha avuto un assegno di ricerca su cibo e territorio in Italia all’Università IUAV di Venezia e si è aggiudicato il Santander Research Grant Fund per una ricerca sulla propaganda nazista e la carne. È docente a contratto presso l’Università Cattolica di Brescia, dove insegna Storia della Radio e della Televisione all’Università Cattolica di Brescia; insegna, Storytelling dello Sport al Master Comunicare, Scrittura Radiofonica per l’Intrattenimento al Master FareRadio presso l’Università Cattolica di Milano. È stato membro della Semiotic Society of America e attualmente è membro dell’ ISCH – International Society for Cultural History -).
































 









1)

G. Lapini, Milano e la televisione in Storia di Milano, ultima modifica 8 marzo 2006. https://www.storiadimilano.it/citta/milanotecnica/televisione/tv.htm (consultato il 7 agosto 2025).

2)

E. Recalcati, Il caso dello sceneggiato televisivo "I fratelli Karamazov": il "cristianesimo sofferto" di Diego Fabbri nella Rai pedagogica dell'era bernabeiana, «Schermi, storie e culture del cinema e dei media in Italia», I, 2, 2017, pp. 219-232.

3)

E. Dagrada, Inspector Maigret and the Teleromanzo: A Case Study of Early Italian Television, «Series: International journal of TV serial narratives», IX, 2, 2023, pp. 41-51.

4)

N. Dusi e G. Grignaffini, Capire le serie TV: Generi, stili, pratiche, Carocci, Roma 2020.

5)

J. Mittell, Complex TV: Teoria e tecnica dello storytelling delle serie TV, Minimum Fax, Roma 2017.

6)

C. Gregoriu, ‘Times like these, I wish there was a real Dexter’: Unpacking serial murder ideologies and metaphors from TV’s Dexter internet forum, «Language and Literature: International Journal of Stylistics», XXI, 3, 2012, pp. 274-285.

7)

K. Dooley, Digital ‘underwriting’: A script development technique in the age of media convergence, «Journal of Screenwriting», VIII, 3, 2017, pp. 287-302.

8)

R. Harman, How technology is changing the Craft of Screenwriting, «Raindance», 23 ottobre 2019. https://raindance.org/how-technology-is-changing-the-craft-of-screenwriting/ (consultato il 7 agosto 2025).

9)

J. Mittell, op. cit.

10)

K. Dooley, op. cit.

11)

N.F. Lund, Applying the Hollywood scriptwriting formula to destination branding, «Current Issues in Tourism» XXIV, 8 2021, pp. 1058-1078.

12)

R. Harman, op. cit.

13)

Redazione, Digital technology revolution in film and television: How virtual production and generative AI are paving the way for engaging content, «TAICCA (Taiwanese Content Catalogue)», 21 novembre 2024. https://culturetech.taicca.tw/en/resources/digital-technology-revolution-2024 (consultato il 7 agosto 2025).

14)

F. Dayo, A.A. Memon, N. Dharejo, Scriptwriting in the Age of AI: Revolutionizing Storytelling with Artificial Intelligence, «Journal of Media & Communication», IV, 1, 2023, pp. 24-38.

15)

Società di VFX con sede a Taiwan.

16)

Realtà che si occupa esattamente di implementare lo storytelling con la tecnologia.

17)

Redazione, op. cit.

18)

Eleven Labs, How AI is innovating the field of scriptwriting, «Eleven Labs», 21 giugno 2024. https://elevenlabs.io/blog/how-ai-is-innovating-scriptwriting (consultato il 7 agosto 2025).

19)

F. Dayo, A.A. Memon, N. Dharejo, op. cit.