Indietro

L’etica d’impresa nell’Umanesimo Tecnologico

Per la costruzione di un’impresa che propende verso lo sviluppo tecnologico e digitale, servono dedizione, lavoro e anche etica: quali attenzioni per conciliare la frenesia dell’avanzamento digitale con i bisogni e le qualità umane dei propri dipendenti?

Massimo Tantardini (Accademia di Belle Arti di Brescia SantaGiulia) in dialogo con Alessandro Ferrari, Co-Fondatore e CEO di Phoenix Informatica 18/01/2021

In questo dialogo con l’imprenditore Alessandro Ferrari, Co-Fondatore e CEO di Phoenix Informatica, approfondiamo il tema del rapporto fra sviluppo della tecnologia, digitalizzazione ed etica aziendale. Ferrari da due anni collabora con la realtà formativa di ITS Machina Lonati di Brescia in qualità di docente sul tema “Etica del lavoro”. È inoltre ideatore del Concorso di idee 3W-WebWebinarWork, originale iniziativa nell’ambito dei concorsi rivolti ad Accademie universitarie di arte e comunicazione visiva.

Alessandro Ferrari è fra gli ideatori del progetto della rivista IO01 e offre un sostegno concreto alla realizzazione della pubblicazione. 

Lavorare nel mondo della connettività e della telematica costituisce un vantaggio per capire meglio lo specifico scenario delle nuove tecnologie (come l’Internet of Things, smart manufacturing, 4.0) o un limite per l’eccessivo coinvolgimento nel settore? 

Più passa il tempo e più matura in me la sensazione che “lavorare nel settore” può essere uno svantaggio, appunto perché il troppo coinvolgimento tecnico spesso “appanna gli occhiali”. Estremizzando l’approccio tecnocratico allo scenario si entra infatti in un’area di rischio e si bypassa la corretta forma mentis che invece la situazione attuale richiede. Ritengo significativo che anche in ambito di scuole superiori e università stanno nascendo numerosi percorsi “trasversali” che affiancano alla pura formazione tecnica specifiche competenze umanistiche, proprio per meglio rispondere alle esigenze di un mercato del lavoro in forte evoluzione. 

Per chi desidera approcciare lo scenario da un punto di vista meramente tecnico, può anche essere sufficiente lavorare con un focus alla connettività e alla telematica, ma se parliamo invece di “Tecnologia” (con la T maiuscola) queste competenze devono necessariamente accompagnarsi e declinarsi al recupero e rivalutazione di elementi imprescindibili di una cultura più ampia e articolata. Gli ultimi anni, al di là del Covid e di ciò che esso ha comportato e sta causando, già indicavano chiaramente questa tendenza delle imprese e le loro nuove aspettative rispetto ai profili professionali, fare entrare in organico persone con competenze più ampie della “funzionalità”. Perfino l’ingegneria nei settori più avanzati e tecnologicamente esasperati guarda oggi a questi profili. Il concetto stesso di umanesimo determina una moltitudine di soft skills, non enumerabili, che portano a eccellere e differenziarsi. 

Umanesimo Tecnologico ed etica d’impresa: dove si collocano i principali punti di collimazione e le sinergie fra questi due concetti? Cosa definisce oggi l’eticità di un’impresa?

Le due componenti sono assolutamente sinergiche. Mi spiego: oggigiorno un’impresa non può definirsi etica senza che il suo percorso di ricerca, formativo e produttivo-industriale risulti a 360° orientato verso un nuovo Umanesimo Tecnologico. La centralità fondamentale del rapporto fra persone e tecnologia (non solo la tecnica, la tecnologia!) determina che ogni scelta aziendale, per essere etica, deve anche necessariamente essere parte positiva di una visione di Umanesimo Tecnologico. Dirò di più: ritengo che ogni impresa può definirsi oggi tanto più etica quanto più persegua una costruttiva consapevolezza sul tema del rapporto fra persone e tecnologia. È lecito domandarsi: che differenza c’è tra gestire il proprio personale secondo principi di eticità e creare condizioni virtuose con la tecnologia? A mio avviso, sono la stessa cosa. Fattori ormai fra loro inscindibili. Entrambe le questioni hanno, fra l’altro, come fine ultimo la realizzazione di “universi migliori”, che vanno a vantaggio sia dell’azienda che del lavoratore. L’impresa deve individuare situazioni e comportamenti potenzialmente scorretti che andrebbero a danno sia dell’azienda che del proprio personale. Ne cito uno, per chiarezza: la reperibilità web senza freni e limiti di orario. Non si coinvolgono i propri dipendenti dopo cena o durante le giornate destinate al relax e al riposo! Eppure sappiamo come questa dannosa pratica sia ancora molto frequentemente in uso. Il lavoratore, da parte sua, deve riconoscere l’impegno che l’azienda pone nel promuovere e applicare condizioni virtuose (diciamolo apertamente: “umane”), partecipando al consolidamento di questa cultura in azienda, promuovendola fra i colleghi. Come si può notare, azienda e dipendenti costruiscono un modello di umanesimo dove le sinergie sono continue e una è linfa vitale dell’altra.

Inutile nasconderlo, anzi meglio evidenziarlo: gli algoritmi potrebbero instaurare dittature digitali. Forse questo sta già avvenendo, senza che le persone se ne accorgano. È un rischio etico enorme. A mio parere tante persone soffrono oggi non tanto per lo sfruttamento del corpo, bensì moralmente e psicologicamente perché posti sempre più in una condizione di “irrilevanza esistenziale”. Essere succubi della rete, come hanno esposto con grande acume molte ricerche contemporanee di neuroscienza, stabilisce una nuova alienazione, che purtroppo frequentemente comincia sul luogo di lavoro e si perpetua anche fra le mura domestiche.

Dalla teoria alla pratica: come Phoenix ha voluto applicare specifici principi etici nella propria realtà aziendale?

Premetto che, al momento, non siamo noi a poter dire se stiamo correttamente perseguendo la strada di eticità intesa come veicolo fondamentale per attuare principi di concreto Umanesimo Tecnologico. Neppure le certificazioni ISO, quali per esempio quella relativa alla Responsabilità Sociale d’Impresa, possono certificare questo. In Phoenix riteniamo da sempre che il principio etico (inteso come globalità dei comportamenti etici in tutti i rapporti e relazioni: con il personale, i soci, i clienti, i fornitori, le istituzioni, il mondo dell’educazione e della cultura, il terzo settore, la società nel suo complesso), è l’unico veicolo per attuare la nostra missione; e ancora siamo fermamente convinti che anche un solo comportamento anti-etico (“unfairness”, ingiustizia,  come lo definisce Marco Alverà), possono intaccare la nostra sfera aziendale come una goccia di inchiostro in una piscina. Ritengo, dopo 30 anni di attività, che abbiamo raggiunto un discreto livello di eticità aziendale nei vari comparti, dalla gestione del personale: nel rispetto delle esigenze delle collaboratrici donne, nella tutela del lavoratore in particolar modo in questo periodo, nel mantenimento della catena del valore verso i collaboratori (ad esempio non fare cassa integrazione quando non serve; non abbiamo mai attinto alla CIG, ma non è questo che conta, importante è farlo quando veramente serve), al rispetto dei rapporti commerciali con i partner, alla continua ricerca di evitare condotte industriali scorrette. Ritengo, con convinzione, che quanto messo in atto in questi anni avente come focus la eticità della condotta aziendale sia uno dei pochi e fondamentali motivi che ha permesso alla nostra azienda di mantenere un proprio posizionamento in un mercato sempre più aggressivo e competitivo.

Il consolidato impegno di Phoenix nel mondo scolastico e accademico-universitario, con progetti originali come il Concorso di idee 3W, come rientra nelle riflessioni e azioni sul tema dell’Umanesimo Tecnologico? Il progetto della rivista IO01 è un punto di arrivo o un nuovo punto di partenza?

Qualsiasi azione intraprendiamo la consideriamo un punto di partenza, non certamente un punto di arrivo, per il semplice motivo che così la nostra azienda rimane sempre giovane e dinamicamente in movimento. Per quanto riteniamo, non esiste un umanesimo del comparto scuola, un umanesimo del comparto istituzioni e così via… Un moderno Umanesimo Tecnologico si persegue tanto più quanto le azioni scatenanti sono trasversali. La globalizzazione impone una continua contaminazione e condivisione degli obiettivi, “senza se e senza ma”. Abbiamo affrontato più volte l’argomento, i percorsi accademico-scolastici hanno per Phoenix la stessa importanza e richiedono lo stesso impegno di un processo di industrializzazione, anzi di più perché in questi settori trasversali spesso non abbiamo le nozioni tecniche per una gestione iperprofessionale delle materie che affrontiamo, e dobbiamo ogni volta innovare e “re-inventarci”. Ma sono sfide che ci entusiasmano! 

Il progetto della rivista IO01 (e se siamo qui a parlarne in questo modo significa che un primo obiettivo è stato raggiunto… la pubblicazione!), è il punto di partenza di un processo che vuole dimostrare che anche una piccola impresa può ambire a grandi obiettivi (indipendentemente dal budget disponibile): l’importante è condividere le idee, le mete e le emozioni.

Gli sviluppi del 2020 a livello di sempre maggiore centralità delle reti e della digitalizzazione, come possono influenzare il mondo del lavoro e il mondo della scuola? Quali le maggiori opportunità e quali i rischi? 

Vediamo nell’aumentata sensibilità verso l’importanza di servizi di connettività affidabili e performanti un punto positivo, anche se ci sarebbe piaciuto riuscire a convincere qualcuno sul fatto che avere banda internet è come avere la benzina per la macchina senza dover subire una pandemia globale. Vedo “nell’assalto alla diligenza” dei fondi economici per una nuova digitalizzazione un fatto a volte quasi vergognoso: ora che si prospetta l’arrivo di ingenti somme europee, ad esempio, alcune grandi compagnie e società del settore dell’informatica e delle telecomunicazioni tornano magicamente in gioco, “a ballare” come si usa dire. Vedere questi “ritorni di fiamma” verso l’Italia dopo anni di latitanza è molto triste e francamente anche parecchio irritante! 

Ritengo che i processi operativi a cui abbiamo dovuto adeguarci in fase di lockdown hanno innescato una rivoluzione nel mondo del lavoro, irreversibile. Sta a noi renderla una rivoluzione positiva, evitando ancor più ulteriori isolamenti sociali che avrebbero un effetto sulle giovani generazioni ancora più deleterio. Ogni forma di isolamento (e lo smart working è comunque lo si voglia vedere “un isolamento”, a volte utile e necessario ma resta tale), deve essere compensata da forme innovative di socializzazione. 

Ho avuto modo di leggere alcune riflessioni sul fatto che è oramai provato che i nostri comportamenti modificano il nostro DNA. Ora, le nuove tecnologie come stanno modificando il nostro DNA? Come modificano la mente di un giovane che entra nel mondo del lavoro? Questa, ritengo, sia un’ulteriore e importante riflessione parlando di Umanesimo Tecnologico. Stiamo subendo continuamente indigestioni di informazioni: questo quanto modificherà irreversibilmente la capacità cognitiva nostra e dei nostri figli? Quanti dati contiene internet? Quanto è grande internet? Quanto è veloce internet? Sono convinto che non dobbiamo stancarci mai di riflettere su dove è nato internet e perché è nato; su dove sta andando internet e come è strutturata la governance di internet. L’avvento di internet e la globalizzazione delle informazioni ha, per assurdo, ribaltato anche il concetto di “censura”: consideriamo che in un mondo alluvionato da quantità non misurabili di informazioni, la lucidità è vantaggio competitivo e potere. In questo contesto la censura non opera tagliando le informazioni, ma inondando le persone di disinformazioni (fake news), questo è uno degli aspetti più inquietanti che possono intaccare il concetto stesso di “umanesimo”, che fin dal Rinascimento e da Leonardo da Vinci riporta al tema della capacità umana di indagare in forma dialettica la realtà.

Oggi cosa chiede Phoenix Informatica a un giovane che si propone sul mercato del lavoro, quali sono i parametri di conoscenza, selezione e scelta per fare entrare in organico nuove risorse professionali? 

Già in fase di selezione cerchiamo di valutare se il candidato può creare problemi all’equilibrio aziendale. Chiediamo: amore per sé stessi e il prossimo in senso ampio, capacità comunicative e di dialogo, condivisione e correttezza, impegno e voglia di apprendere, voglia di donare al prossimo inteso come ampio rispetto dei colleghi e dell’azienda. Oggigiorno, sempre di più, sono più importanti le soft skills umane, serve sempre meno tecnica e sempre più tecnologia per ambire a operare nel futuro.

Perché un piccolo imprenditore collabora e promuove una riflessione sull’Umanesimo Tecnologico? Questa azione vuole essere una risposta a un forte ego imprenditoriale?

Lo ribadisco: desidero evidenziare che certi progetti e azioni, ritenute ancora esclusiva delle grandi aziende, possono essere altresì proposti, perseguiti e sostenuti anche da piccoli imprenditori. Ritengo che tutti siamo un piccolo granello del nuovo Umanesimo Tecnologico, e tutti abbiamo l’assoluto dovere di cercare di contribuire alla sua realizzazione compiuta.