Indietro

Rappresentare Mondi Possibili: Ecco i vincitori

Al termine del Convegno “Mondi Possibili. Geografie degli Spazi Virtuali e Percezione del Reale” sono state premiate le opere legate al Contest "Rappresentare Mondi Possibili". Tutti i dettagli

Di Anna Giunchi 26/11/2025

Il Convegno “Mondi possibili. Geografie degli spazi virtuali e percezione del reale” nasceva da una mission chiara:  avviare una comunità di pensiero che sensibilizzasse circa l’importanza della cultura visuale e delle digital humanities nell’ambito artistico, come elementi essenziali della ricerca scientifico-artistica. Non si trattava, quindi, solo di dibattere sul tema dei “mondi possibili”, ma anche di renderli materia plastica, forma, luogo di concreta sperimentazione. 

Non a caso, la giornata di dibattito si è conclusa con la premiazione del Contest di immagini ideato da «IO01 Umanesimo Tecnologico» – arrivato alla sua seconda edizione-. Se l’anno scorso l’idea era quella di “mettere in opera” le Poetiche artificiali a cui era intitolato l’evento, nell’edizione 2025 l’input era tanto apparentemente semplice, quanto sfidante: “Rappresentare mondi Possibili”. Un oggetto, in fondo, che l’arte, da sempre, indaga.

Le opere ricevute sono state molte, a riprova della natura profondamente “artistica” della richiesta. Hanno prevalso una serie di lavori eterodossi per intenzione e punto di vista, che hanno trovato il “possibile” in contesti, forme e tempi diversi: dalle distopie al quotidiano, dall’artificiale alla natura.

 

Opera Vincitrice: “Chtonia: a world beyond Anthropocene” di Marco Calabrese 

(qui il link all’opera video)


Il primo premio è andato all’artista Marco Calabrese per la sua opera “Chtonia: a world beyond Anthropocene”. Chtonia è un ecosistema narrativo, visivo e teorico nato dalla speculazione su identità, corpo e intelligenze artificiali, intese come specchio dei limiti esistenziali dell’essere umano e, al contempo, come agenti di un possibile superamento.

Il progetto nasce come cortometraggio per la tesi finale del Master in 3D Visual Design presso AANT Roma (data di conseguimento 09/11/2024) e si sviluppa come esplorazione di un processo di worldbuilding non antropocentrico. Ispirato alle teorie di Chthulucene di Donna Haraway, costruito sulle ispirazioni delle pietre miliari del genere fantascientifico e orientato da una bussola teorica transfemminista, il cortometraggio sposta il focus non oltre l’umano in senso escludente, ma verso una visione che lo reintegra in un sistema più ampio, dove il corpo e i suoi meccanismi biologici e

sociali diventano parte di un intreccio di relazioni micro e macro, biologiche e tecnologiche.

Nel cortometraggio, un’intelligenza artificiale avvia un viaggio per risolvere il problema della riproduzione umana, compromessa da un nuovo virus. Per comprendere la natura dell’essere umano e le relazioni tra le specie, la IA si allontana dal suo creatore, adottando una prospettiva esospecie, esplora forme di vita non mammifere su varie scale dimensionali, dai sistemi cellulari alle strutture complesse, costruendo una “matrioska” di organismi interconnessi. Attraverso questa ricerca, giunge alla conclusione che ogni vita è una rete di vite e propone all’essere umano una nuova relazione simbiotica tra virus, DNA umano e tecnologia artificiale.

Chtonia diventa così un laboratorio speculativo di integrazione tra entità biologiche macroscopiche, microscopiche e artificiali, articolato in modo non gerarchico. L’essere umano è ripensato non come individuo isolato, ma come colonia vivente composta da microbi, dati, connessioni. Tra le altre forme di vita generate, introduce Kin — dal termine kin, che in Haraway evoca la “parentela responsabile” e la possibilità di costruire legami non genealogici tra specie, esseri e tecnologie. Kin è una forma di vita grande quanto un atomo, simbolo di coscienza distribuita e  capacità di connessione: un’entità che agisce al di fuori della percezione individuale e separata propria dell’antropocentrismo.

Attraverso la piattaforma web in espansione chtonia.com, il progetto diventa così un ecosistema teorico e visivo in continua evoluzione, dove l’interazione tra intelligenze artificiali e umani, dà vita a nuovi ambienti, nuove creature e nuovi indirizzi speculativi. Mentre il cortometraggio, le creature, i testi e le musiche sono interamente realizzati dall’artista, la voce narrante è generata dalla IA, così come fase successiva del progetto apre un dialogo con le intelligenze artificiali, addestrate a “pensarsi come Chtonia” e a esplorare le questioni del suo mondo, in un dialogo mediato con l’artista. Come la protagonista del corto seleziona moduli di realtà per costruire la propria esistenza, così le IA iniziano a generare teorie, forme e relazioni per estendere l’universo narrativo che viene poi modellato ed assemblato dall’essere umano.

Il mondo narrativo di Chtonia diventa una speculazione viva: un organismo teorico e visivo che propone un nuovo paradigma di simbiosi tra virus, tecnologia e umanità, riconoscendo in ciascuno la stessa logica nodale che struttura le reti biologiche e computazionali. È una riflessione sull’identità e sulla possibilità di un pensiero post-antropocentrico, dove concetti come individuo, corpo e genere, vengono disciolti e riprogettati con l’aiuto di nuove forme di vita, in un sistema modulare dove nulla ha un confine o un limite se non possibilità connettive che attraversano dimensioni e spazi teorici digitali.

 

Menzione Speciale a HACK duo Adriana Ribalcenco e Chiara Bertasini- per il video “M E T A C O R P A L I S M O”

(qui il link all’opera video)

Il lavoro nasce da fotogrammetrie prelevate da un software di scansione 3D: in questo stadio, la materia è sospesa in un database di modelli. A questo primo livello   si sovrappone un secondo: quello dell’intelligenza artificiale. L’AI, attraverso prompt testuali, interviene come dispositivo di riattivazione di gesti simulati. Tuttavia, questo movimento è il risultato di un processo di sintesi e di apprendimento automatico: non deriva da un’esperienza, ma da una statistica del possibile. Ogni azione generata porta con sé la traccia dei dati da cui proviene, un archivio di movimenti umani che si sedimentano in nuove combinazioni. L’intelligenza artificiale non riproduce un’azione, ma ne costruisce la probabilità.

In questa traduzione l’AI prosegue la durata dei modelli attraverso un’ulteriore mediazione, costruendo un movimento verosimile ma mai autentico. L’azione diventa così un atto mancato: si avvia, si ripete, si interrompe. La sintesi granulare dei video, applicata come ultimo strato, ne blocca il divenire, facendo collassare il tempo in un ciclo di tentativi infiniti.

L’opera si muove quindi su una soglia instabile, dove il virtuale tenta costantemente di incarnarsi nel reale, senza mai riuscirci del tutto. In questa distanza infinitesimale quel margine percentuale separa l’imitazione dalla presenza, mettendo in crisi la possibilità di un mondo. Mostra come la tensione verso il reale, pur mediata e artificiale, resti una forma di desiderio. E come in quel desiderio, fragile e irrisolto, risiede ancora una forma di umanità.

 

Menzione Per la Comunicazione Visuale a Angela D’Onghia per “Eterotopi@”

(qui il link all’opera video)

Il primo cavo in fibra ottica non ha solo collegato continenti, ma ha aperto una soglia tra due mondi, generando un paesaggio ibrido in cui lo spazio urbano si duplica, si stratifica e si reinventa. Con il TAT-8 nasce una nuova entità: un organismo che parte dal reale, attraversa il digitale e ritorna al reale trasformato, carico di nuovi significati. I cavi distesi sotto i mari hanno utilizzato spazi concreti per generare una città immateriale: reti come strade, social network come piazze, forum deserti come periferie abbandonate.

In questa geografia aumentata non esistono più confini di tempo e di spazio, ma solo flussi, connessioni e disconnessioni. Eppure, dietro la promessa di ubiquità, si celano nuovi regimi di visibilità e potere.

Il progetto “Eterotopi@” nasce da questa tensione e la traduce in un video data generated, in cui immagini della realtà conosciuta vengono elaborate e trasformate alla luce dei dati che descrivono la diffusione e l’impatto tecnologico nel mondo. Il lavoro utilizza variabili come la densità dei data center, la copertura internet del territorio, la penetrazione degli smartphone e l’adozione dell’intelligenza artificiale per riscrivere i paesaggi urbani, mostrando come la tecnologia ne modifichi forma, ritmo e percezione.

I paesaggi e le strade diventano illeggibili e privi delle forme che siamo abituati a riconoscere. Ogni area geografica si trasforma in modo diverso: le metropoli ad alta connessione diventano flussi in cui anche il digitale assume maggiore risoluzione e informazione, mentre i territori marginali emergono come spazi intermittenti dove la rete è fragile o assente, distorcendosi e venendo assorbite da forme generate dai dati.

Il video si configura così come un atlante visivo del nostro tempo, in cui lo spazio urbano non rappresenta il territorio, ma lo genera e lo distorce. In questi slittamenti si rivela la fragilità della realtà stessa, sempre più mediata da dispositivi e algoritmi che agiscono come architetti invisibili dei nostri spazi di vita.

“Eterotopi@” esplora il momento in cui i due mondi — fisico e digitale — si toccano e si contaminano, dando vita a un territorio liminale dove la città fisica diventa scenario incompleto e quella digitale si fa architettura cognitiva. È in questo spazio aumentato, in questa eterotopia instabile, che si ridefiniscono le nozioni di presenza, memoria e potere.

Il lavoro interroga dunque la possibilità stessa di “abitare” in un mondo dove l’esperienza è sempre mediata da uno schermo, e dove ogni gesto, sguardo o movimento contribuisce a ridisegnare lo spazio.

Se il reale diventa dato e il dato immagine, quale ruolo rimane all’individuo?

 

Menzione Per la Cultura Visuale a Giovanni Diano per “Biocam Index”

(qui il link all’opera video)

Una rete di telecamere sparse in tutto il mondo, hackerate a causa dello scarso livello di sicurezza si mostrano interconnesse e onnipresenti. La nostra identità è un dato fagocitato dall’algoritmo e venduto alle grandi aziende che avevano promesso internet come un utopia, un posto sicuro dove crescere. Invece nella valle del deep web si aggirano creature minacciose che non sono altro che umani, mancanti di umanità. Una melma indistinguibile di metadati e file spazzatura che corrompono, nell’ inarrestabile flusso, l’assertività dell’immagine. Eppure se la tecnologia ha reso

più facili molte cose non ha arrestato la paura per l’ignoto,anzi ne ha enfatizzato la potenziale e costante minaccia. Nel seguente edit ho prelevato materiale di telecamere di sicurezza corrotte durante attività di sorveglianza quotidiana, senza che i soggetti non sapessero di essere ripresi.

L’artista ha lavorato con programmi come Adobe Premiere Pro e After Effects per montaggio ed effetti. Inoltre ha utilizzato software di modellazione 3D come blender per alcune scene , integrandoli con programmi di visual programmi come touch designer e VVVVgamma. Inoltre sono presenti video di archivio privi di copyright. La traccia sonora è LUGOLA – The Truth Penetrates Your Mouth, anch’essa free to use.

 

Menzione Per la Comunicazione Ecosociale  a Michele Rinaldi  per “Xylella Latente”

(qui il link all’opera video)



Xylella Latente è un trittico di ulivi generati da un algoritmo di intelligenza artificiale (GAN), addestrato su oltre diecimila fotografie originali scattate nei campi del Salento più colpiti dal batterio Xylella fastidiosa, tra cui quelli di Casarano. L’opera  nasce dall’incontro tra memoria e tecnologia: un dialogo tra il paesaggio reale, segnato dalla malattia e dalla perdita, e lo spazio virtuale in cui l’immagine si ricompone in nuove forme, sospese tra realtà e immaginazione.

L’algoritmo, sviluppato in prima persona secondo principi di Green AI, utilizza tecniche di mixed-precision per ridurre il consumo energetico e l’impatto ambientale. Questo approccio vuole proporre un uso consapevole e sostenibile dell’intelligenza artificiale nel campo della ricerca artistica. Attraverso la rete neurale, l’opera esplora la capacità della macchina di ricordare e reinterpretare ciò che l’uomo ha perduto: un archivio visivo di ulivi che non esistono più, ma che continuano a vivere nello spazio digitale dei dati.

Come il batterio che ha cancellato interi paesaggi, anche la rete produce immagini in dissoluzione. Le forme degli alberi emergono e si dissolvono, evocando una memoria fragile, simile a un ricordo che svanisce. In questo incontro fra il biologico e il digitale, Xylella Latente costruisce un nuovo tipo di paesaggio: non più fisico, ma generato dalla collaborazione tra sensibilità umana e immaginazione artificiale.

Il formato del trittico richiama la struttura di un altare laico e rende omaggio al profondo legame tra l’ulivo e la cultura pugliese, simbolo di identità, resistenza e appartenenza. Ispirandosi al Trittico delle Delizie di Hieronymus Bosch, l’opera trasforma il paesaggio salentino in un “atlante interiore” che unisce memoria, perdita e speranza. La tecnologia diventa così uno strumento di riflessione umanistica: attraverso il dato digitale, restituisce valore emotivo e culturale a un territorio ferito.

Xylella Latente vive sul confine tra spazi reali e virtuali: da un lato la terra del Salento, dall’altro il paesaggio sintetico creato dall’AI. Attraversare questa soglia significa esplorare un “mondo possibile” in cui la tecnologia non sostituisce la natura, ma la ascolta e la reinterpreta.

Il codice informatico diventa linguaggio poetico e strumento di cura: ciò che è andato perduto si trasforma in immagine, memoria e possibilità. L’intelligenza artificiale non è qui una forza autonoma, ma un’estensione del gesto umano, capace di restituire forma a un ecosistema scomparso. L’opera invita a riflettere sul nostro modo di abitare la soglia tra realtà e simulazione, memoria e oblio, natura e artificio: spazi che oggi si intrecciano e si ridefiniscono continuamente.

In questo senso, Xylella Latente è un atto di resistenza poetica e tecnologica: un tentativo di immaginare nuove radici in un territorio colpito, dove anche l’intelligenza artificiale può diventare strumento di memoria, speranza e rigenerazione.



Anna Giunchi

(Executive Editor)