A Milano, negli spazi del MEET Digital Culture Center, l’arte digitale europea si è data appuntamento per ridisegnare i confini dell’arte digitale. The New Atlas of Digital Art 2025 ha accolto anche l’opera The Golden Key.
Gli autori dell’opera, Matthew Niederhauser e Marc Da Costa, con formazione in antropologia e filosofia, collaborano da ormai quattro anni su progetti che esplorano l’IA come mezzo espressivo. Ma con The Golden Key, spiegano, il salto è stato qualitativo: «Non si tratta più solo di creare immagini o video. Qui progettiamo sistemi interattivi. L’output è diverso ogni volta e a storia si adatta all’interlocutore».
In The Golden Key, l’intelligenza artificiale non è solo uno strumento, ma diventa un vero e proprio interlocutore che non genera contenuti, ma bensì crea esperienze narrative condivise, che mutano ad ogni interazione.
L’opera trae ispirazione da una breve fiaba dei fratelli Grimm, dall’omonimo titolo. La storia narra di un bambino che trova, tra la neve nel bosco, una chiave d’oro e la sua serratura corrispondente; il racconto però si interrompe proprio mentre sta per aprirla, alludendo dunque all’apertura di nuovi possibili sviluppi lasciati all’immaginazione dei lettori.
Con lo stesso spirito, l’opera di Niederhauser e Da Costa costruiscono una “mitologia speculativa”: un sistema narrativo infinito, in cui le storie emergono ogni tre minuti combinando continuamente motivi del folklore europeo – tratti da antichi database accademici – arricchiti da input testuali forniti in tempo reale dal pubblico presente in sala.
Questo rende l’opera dinamica, come se fosse un organismo narrativo vivo e reattivo. Il visitatore può digitare qualsiasi pensiero, frase ed immagine mentale mentre l’intelligenza artificiale si occupa di assorbire e combinare gli input ai miti antichi, restituendo una nuova storia.
Alla base dell’opera vi sono modelli linguistici open source e un sofisticato lavoro di prompt engineering, che permette alla macchina di mantenere un tono narrativo coerente e uno stile riconoscibile, pur reinventandosi ad ogni iterazione. Anche la resa estetica è curata, in quanto le immagini che accompagnano i racconti si ispirano agli illustratori del XIX secolo, evocando atmosfere di fiabe senza tempo.
L’opera non si limita a stupire, ma interroga e lo fa su più livelli. «Viviamo in un mondo in cui le macchine cercano di conoscerci e si rivolgono a noi in modi sempre più intimi» afferma Marc Da Costa. The Golden Key non celebra l’AI, né la teme, ma bensì la espone come un meccanismo da comprendere, un soggetto con cui entrare in relazione. Il pubblico, di fronte a storie che a tratti sembrano perfette e a tratti vuote, si ritrova a domandarsi: cosa stiamo ascoltando? Chi sta raccontando davvero? E cosa significa, oggi, “inventare una storia”?
Per Da Costa e Niederhauser, l’arte è un campo di prova urgente:«Non abbiamo 20 anni per capire queste tecnologie. Si stanno già installando nelle nostre vite. È fondamentale che artisti, cittadini, educatori si confrontino con l’AI ora, in modo critico, consapevole e poetico.»
Come la fiaba da cui prende il nome, The Golden Key non chiude, ma apre gli orizzonti dell’immaginazione, ogni racconto generato è una soglia verso altro: una possibilità, un invito, un gioco; un’opera che rende il pubblico parte del processo creativo, che ci ricorda che anche nell’era dell’IA, la narrazione resta uno spazio umano anche quando a raccontare non siamo più soltanto noi.