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The New Atlas of Digital Art 2025: Immersive frontiers. Un nuovo paesaggio dell’immersività

Di Cecilia Agostini 27/06/2025

È possibile tracciare le coordinate di una trasformazione digitale sempre più rapida, articolata e profonda? Definire un atlante sulle nuove geografie dell’immersività? Immersive frontiers – le frontiere dell’immersività – è il tema scelto per la sesta edizione dell’incontro di scala internazionale svoltosi il 19 e 20 giugno 2025 organizzato da MEET Digital Culture Center – il primo Centro Internazionale per l’Arte e la Cultura digitale in Italia, nato a Milano nel 2018 con il supporto di Fondazione Cariplo – in collaborazione con il MNAD – Museo nazionale dell’Arte Digitale. 

Attraverso talks, esperienze e workshops, The New Atlas of Digital Art 2025 propone un’esplorazione ad ampio spettro dei territori dell’innovazione digitale in ambito culturale, avviando la costruzione di una mappa che delinei le nuove rotte intraprese nel settore della creatività digitale. 

Qui le esperienze immersive si affermano come linguaggi capaci di ridefinire i luoghi della cultura, dello spettacolo, dell’intrattenimento e della comunicazione, proponendo forme di coinvolgimento collettivo sempre più interattive e partecipative. Artisti, curatori e innovatori provenienti da paesi come America, Canada, Francia, Giappone e Svizzera, hanno mostrato come l’immersività non sia solo una frontiera tecnologica, ma un processo culturale e sociale profondo. Nelle due giornate del 19 e 20 giugno sono stati affrontati due macro-temi:

Scenari tecnologici e tendenze creative e produttive

Uno sguardo d’insieme sui modelli di produzione più attuali, sulle tendenze artistiche e tecniche e sulle potenzialità delle nuove tecnologie immersive. Una sessione introduttiva che apre il dialogo a pratiche internazionali e prospettive future. 

Il “nuovo atlante” dell’arte digitale si compone di esperienze che uniscono circo e installazioni, come nei lavori di Daniel Finzi Pasca, e di narrazioni AI-driven, come quelle dell’artista multidisciplinare Sandra Rodriguez, che utilizza i dati per raccontare realtà complesse. Tra gli ospiti di rilievo anche Jeffrey Schnapp, digital humanist di Harvard, che ha sottolineato come le nuove tecnologie non siano in contrasto con le discipline classiche, ma ne siano un’evoluzione.

L’uso poetico dell’intelligenza artificiale  – come dimostrano le esperienze del Village Québécois di Stephane Roisin o delle Gallerie di Piedicastello di Jeffrey Schnapp – hanno messo in luce una visione condivisa: la tecnologia può servire l’immaginazione umana per valorizzare e rendere vivo il patrimonio culturale. Da Baris Gencel a Sabrina Ratté, da Mathieu Gayet a Stephane Roisin, il filo conduttore è chiaro: l’arte digitale oggi è un ponte tra mondi, un esercizio di libertà e responsabilità.

Musei, archivi e patrimonio culturale

Come il digitale può arricchire il patrimonio culturale e, al contempo, come la cultura può educare e indirizzare il digitale. Una riflessione su AI, mediazione dei musei nnovativa, valorizzazione degli archivi e nuovi accessi al sapere. 

La museologia contemporanea sta abbandonando la fruizione passiva del patrimonio per abbracciare esperienze interattive e multisensoriali. Ne è esempio l’approccio di Rasa Bocyte con Ars Electronica Archive (Austria), dove non esiste una collezione fisica, ma un immenso archivio digitale nato già nel 1979, che oggi esplora il ruolo dell’AI nella cultura attraverso festival, installazioni e workshop. Qui si ribalta il paradigma: culture for AI, e non AI for culture.

Tra le voci più innovative, Marinella Sofia Gkinko ha presentato Panorama, un progetto immersivo sviluppato a Zurigo per dare vita alla Battaglia di Morat che unisce visualizzazione ad altissima definizione del dipinto, odori e suoni. L’obiettivo è costruire una narrazione emotiva, sensoriale e spaziale del patrimonio. In Svizzera, anche il Museo dei Fossili di Monte San Giorgio sperimenta mixed reality e design esperienziale, mentre il Teatro alla Scala digitalizza la memoria della lirica con tecnologie che ricreano la voce di Maria Callas e valorizzano archivi eterogenei.

Progetti come quello della Fondation Louis Vuitton, con esperienze VR costruite attorno a quattro pilastri – movimento, emozione, attrattività e ibridazione – dimostrano come il futuro della visita museale sia già presente, grazie a contenuti audio, video AR e mediazioni culturali guidate dall’AI. Allo stesso modo, l’archivio sperimentale digitale del MEET lavora su oltre 1500 ore di materiale video-audio, creando connessioni inattese e contenuti inediti grazie all’AI.

La sfida, come suggerisce John Volpato, è trasformare l’archivio in un dispositivo percettivo, dove le metafore – spaziali, emotive, sensoriali – guidano la narrazione. Da The Tree, archivio generativo, all’opera in realtà virtuale From Dust di Aram Balian, si esplora un nuovo territorio: dove l’archivio non è solo custode del passato, ma interprete attivo del presente.

Nato con l’obiettivo di esplorare i nuovi scenari della creatività digitale e il loro impatto su società, cultura ed economia, Atlas si configura oggi come uno spazio di riflessione sempre più necessario per ripensare le connessioni tra sviluppo tecnologico, sperimentazione artistica e modelli economici sostenibili. Al centro di questa esplorazione resta l’essere umano, con le nuove forme di significato che scaturiscono dall’incontro tra intelligenza artificiale, dati, ambienti immersivi e patrimonio culturale. Non solo luogo di aggiornamento e visione, Atlas diventa così un laboratorio vivo, in cui testare possibilità, costruire relazioni e immaginare, collettivamente, il futuro dell’esperienza culturale.

 

Cecilia Agostini

(Accademia di Belle Arti di Brescia SantaGiulia)